Amnesty International accusa l’Italia: sta aggirando i suoi obblighi internazionali aiutando la Libia a intercettare migranti e rifugiati nel Mediterraneo
Amnesty International ha forti timori che l’Italia stia tentando di venire meno all’obbligo di proteggere le persone in fuga dalle massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani in Libia facilitando l’intercettamento di migranti e rifugiati, da parte delle autorità libiche, nel Mediterraneo centrale.
Il 10 maggio una richiesta di assistenza lanciata alla Guardia costiera italiana da un’imbarcazione piena di migranti e rifugiati ha fatto sì che la Guardia costiera libica intercettasse il natante in difficoltà in acque internazionali per riportare 500 persone in Libia, ponendole così a rischio di detenzioni illegali, tortura, stupri, trattamenti inumani e degradanti e ulteriori violazioni dei diritti umani.
L’episodio segna un’assai preoccupante discontinuità dalle procedure fino ad allora seguite nelle operazioni di ricerca e soccorso di migranti e rifugiati nel Mediterraneo centrale. Negli ultimi anni queste procedure sono state coordinate dalla Guardia costiera e dalla Marina italiana, di volta in volta assistite da altre Marine di stati membri dell’Unione europea, dall’agenzia europea Frontex, dall’operazione militare europea Eunavformed Sophia, da navi commerciali e, soprattutto a partire dal 2016, da navi delle Organizzazioni non governative (Ong), consentendo a centinaia di migliaia di persone di approdare sane e salve in Italia.
Di fronte alle sempre più forti e ostili posizioni nei confronti dell’immigrazione e di quegli uomini, quelle donne e quei bambini che cercano di approdare in Europa attraverso viaggi pericolosi, i leader europei hanno adottato misure per chiudere tutte le frontiere dell’Unione europea e limitare in modo significativo l’accesso al territorio europeo.
Per ridurre soprattutto le partenze via mare dalla Libia verso l’Italia, i leader europei hanno intrapreso iniziative multilaterali e bilaterali per rafforzare la cooperazione con le autorità della Libia per fermare le partenze dalle coste di questo paese, nonostante fossero stati ripetutamente avvisati che questa cooperazione avrebbe intrappolato ed esposto a gravi violazioni dei diritti umani i migranti e i rifugiati. Da allora, almeno 90 funzionari libici hanno completato l’addestramento.
Nel contesto del tentativo europeo di stabilizzare la Libia e legittimare il riconoscimento internazionale del governo di al-Sarraj, l’Italia ha aumentato il suo coinvolgimento nel paese attraverso la firma del Memorandum d’intesa del gennaio 2017 per aumentare la cooperazione nel contrasto dell’immigrazione irregolare. Nonostante la sua validità resti dubbia dopo che nel marzo 2017 un tribunale di Tripoli ne ha decretato la sospensione, i due governi hanno proseguito ad applicare le misure e i programmi previsti dall’accordo.
Sulla base del Memorandum, l’Italia tra l’altro ha accettato di restituire alla Guardia costiera libica 10 motovedette che le erano state donate ai tempi del colonnello Gheddafi. Quattro sono state consegnate a maggio, le altre sei dovrebbero esserlo a giugno. Queste motovedette sono destinate a rafforzare in modo assai importante la capacità della Guardia costiera libica di pattugliare non solo le acque territoriali ma anche quelle internazionali.
Nel marzo 2017, funzionari della Guardia costiera in servizio presso il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (Mrcc) hanno confermato ad Amnesty International che il governo italiano ha chiesto loro di aiutare le autorità libiche a istituire un centro analogo che sia in grado di coordinare le attività di ricerca e soccorso nella zona marittima di competenza della Libia. Il tutto dovrebbe avvenire entro 18 mesi, sempre che gli sforzi di ricostruzione del sistema istituzionale libico vadano in porto. L’esistenza di un’autorità nazionale stabile sarebbe infatti fondamentale per istituire e pattugliare una zona libica di ricerca e soccorso.
L’intervento della Guardia costiera libica del 10 maggio potrebbe essere il segnale che le pressioni politiche del governo italiano, impegnato in prima linea a impedire a rifugiati e migranti di fuggire dalla Libia, sono prossime ad abilitare le autorità libiche a svolgere operazioni di ricerca e soccorso in mare, anche al costo di mettere in pericolo persone vulnerabili e di rinunciare a garantire il massimo livello di protezione delle loro vite.
Cosa è successo il 10 maggio: migranti e rifugiati riportati in Libia mentre erano in acque internazionali
Nelle prime ore del 10 maggio l’Mrcc di Roma ha ricevuto una richiesta d’aiuto da un’imbarcazione di migranti e rifugiati nelle acque territoriali libiche. L’imbarcazione di legno aveva a bordo, secondo una stima iniziale, 300 persone, poi rivelatesi quasi 500.
Come prevede il diritto marittimo, l’Mrcc ha contattato le autorità libiche le quali hanno assicurato il coordinamento dei soccorsi. L’Mrcc ha anche contattato la Sea-Watch 2, la nave dell’Ong tedesca Sea-Watch, che si trovava nella zona, chiedendole di dirigersi verso l’imbarcazione in avaria. Quando la Sea-Watch 2 l’ha vista, l’imbarcazione coi migranti e i rifugiati a bordo era ormai in acque internazionali.
La Sea-Watch 2 aveva appena calato in acqua i battelli di salvataggio (seguendo la consueta procedura di soccorso alle imbarcazioni in avaria, per evitare che queste ultime si capovolgano) quando il suo capitano è stato informato dalla Guardia costiera italiana che una motovedetta libica in arrivo aveva “il comando” delle operazioni di soccorso. La Sea-Watch 2 ha provato a contattare la Guardia costiera libica per offrire assistenza ma questa non solo non ha risposto ma ha anche accelerato, tagliando la rotta alla Sea-Watch 2 e collidendo uno dei suoi battelli di salvataggio che aveva appena iniziato la manovra di avvicinamento all’imbarcazione dei migranti e dei rifugiati.
La Sea-Watch 2 ha invertito immediatamente la rotta. Secondo il suo comandante, l’improvvisa accelerazione della motovedetta ha messo a rischio entrambi gli equipaggi. L’intera scena è stata filmata da un reporter tedesco della Spiegel Tv che era a bordo della motovedetta libica. Altre immagini, riprese dalla Sea-Watch 2, sono disponibili sul sito dell’Ong.
La motovedetta della Guardia costiera libica ha fermato l’imbarcazione con i migranti e i rifugiati a bordo. Come è possibile vedere nelle immagini del giornalista di Spiegel Tv, il capitano libico ha minacciato i migranti e i rifugiati con una pistola e poi ha preso possesso dell’imbarcazione. Poi, i funzionari libici hanno trasferito alcuni migranti e rifugiati sulla motovedetta. Altri funzionari sono saliti a bordo dell’imbarcazione e sia questa che la motovedetta hanno fatto rotta verso Tripoli.
Sulla base delle immagini a disposizione e delle testimonianze dell’equipaggio della Sea-Watch 2, Amnesty International è giunta alla conclusione che le autorità libiche hanno agito in contrasto con le linee-guida operative del Manuale per la ricerca e il soccorso aeronavale internazionale, mettendo i migranti e i rifugiati intercettati a rischio di finire in acqua e annegare.
I migranti e i rifugiati intercettati dalla Guardia costiera libica in acque internazionali – 497 secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni – sono stati fatti sbarcare alla base navale di Abu Sita, a Tripoli, e trasferiti in vari centri di detenzione.
Come documentato dalle agenzie delle Nazioni Unite e da numerose Ong, compresa Amnesty International, nei centri di detenzione libici hanno luogo gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Salvo poche eccezioni, i migranti e i rifugiati riportati in Libia vengono inviati nei centri di detenzione, dove rimangono a tempo indeterminato subendo torture, sfruttamento e violenza sessuale ad opera del personale dei centri controllati dal governo e dei membri delle milizie di quelli che sfuggono al controllo governativo. Sugli uni e sugli altri non vi è alcun controllo governativo e non esiste alcuna forma di ricorso per chi vi subisce violazioni dei diritti umani nella più assoluta impunità.
Preoccupazioni di Amnesty International
Amnesty International ha ripetutamente segnalato ai leader europei che la loro cooperazione con le autorità libiche, soprattutto quella destinata a rafforzare la capacità delle agenzie per il controllo della frontiera terrestre e marittima per impedire le partenze dalla Libia, avrebbe intrappolato sempre più persone nel paese, esponendole a violazioni sistematiche dei loro diritti umani. Le autorità italiane ed europee sono ampiamente consapevoli della drammatica situazione in cui si trovano centinaia di migliaia di migranti e rifugiati in Libia, a rischio di tortura nei centri di detenzione e di uccisioni, violenza e sfruttamento fuori da essi.
Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani sul caso Hirsi, in cui l’Italia è stata giudicata responsabile della violazione della Convenzione europea dei diritti umani per aver respinto rifugiati in Libia nonostante il rischio di tortura, Amnesty International teme che l’Italia stia aggirando i suoi obblighi ricorrendo alla cooperazione con la Libia.
Nonostante l’allarme di Amnesty International, i leader europei hanno continuato a rafforzare la cooperazione con le autorità libiche in materia di controllo della frontiere, in assenza di alcuna garanzia sulla protezione dei diritti umani, come ad esempio l’abolizione della detenzione obbligatoria dei migranti e dei rifugiati, l’adozione di misure di contrasto al loro sistematico maltrattamento e la creazione di un sistema d’asilo.
Quanto accaduto il 10 maggio può rappresentare un’accelerazione del processo di affidamento alle autorità libiche del compito di intercettare le imbarcazioni di migranti e rifugiati nel Mediterraneo centrale per impedir loro di raggiungere l’Europa. Amnesty International teme che il mutamento delle procedure di ricerca e soccorso in mare da parte delle autorità italiane possa essere il risultato della pressione politica per assicurare che le autorità libiche siano in grado di intercettare le imbarcazioni di migranti e rifugiati il più vicino possibile alle coste libiche. In questo modo il rientro in terraferma avverrebbe in Libia, consentendo all’Italia e all’Unione europea di aggirare l’obbligo internazionale di soccorrere e fornire protezione a chi ne ha bisogno.
Amnesty International è profondamente preoccupata che l’intercettamento del 10 maggio costituisca la prima attuazione di una nuova politica che prevede sempre di più il ricorso alla Guardia costiera anche in acque internazionali, escludendo le navi delle Ong dalle operazioni di ricerca e soccorso in mare o persino richiedendo loro di operare sotto il coordinamento delle autorità libiche.
Questi sviluppi costringerebbero i migranti e i rifugiati riportati in Libia, dopo aver rischiato di annegare ed essere stati minacciati con le armi durante le operazioni di ricerca e soccorso in mare, ad andare incontro a ulteriori violazioni dei diritti umani.
Amnesty International teme inoltre che gli enormi sforzi e risorse destinati dall’Unione europea e dall’Italia alla Libia finiscano per intrappolare migranti e rifugiati in quest’ultimo paese, senza che sulle autorità libiche siano esercitate pressioni perché assumano provvedimenti concreti per proteggere i diritti dei migranti e dei rifugiati in Libia.
Amnesty International teme, infine, che nel Mediterraneo centrale possa esserci un’emarginazione delle Ong le cui navi si sono messe a disposizione per salvare vite umane in modo professionale e cooperativo e il cui contributo per garantire sicurezza in mare è stato riconosciuto dalla Guardia costiera e dalla Marina italiana, nonostante sia in corso nei loro confronti una campagna diffamatoria priva di prove portata avanti da un certo numero di parlamentari e rappresentanti delle istituzioni italiane.
Raccomandazioni di Amnesty International
Gli stati membri dell’Unione europea dovrebbero approntare percorsi legali e sicuri verso l’Europa, in particolare consentendo l’ammissione per motivi umanitari alle migliaia di persone che necessitano protezione e che sono bloccate in Libia.
Gli stati membri e le istituzioni dell’Unione europea, compresa Frontex, dovrebbero garantire che un numero adeguato di loro navi con l’obiettivo primario di ricerca e soccorso in mare sia impiegato lungo le rotte seguite dalle imbarcazioni dei migranti e dei rifugiati, anche nei pressi delle acque territoriali libiche fino a quando le partenze dalle coste libiche proseguiranno.
I governi e le istituzioni dell’Unione europea dovrebbero assicurare che ulteriori forniture di addestramento e di risorse alle autorità libiche, tra cui la stessa Guardia costiera locale, siano condizionate all’adozione da parte di queste ultime di misure concrete e verificabili in materia di protezione, tra le quali: porre fine alla detenzione obbligatoria dei migranti, ratificare la Convenzione Onu sullo status di rifugiato; riconoscere l’Alto commissariato Onu per i rifugiati; consentire alle agenzie umanitarie l’accesso in tutti i centri di detenzione.
Se gli stati membri dell’Unione europea intenderanno proseguire ad addestrare la Guardia costiera libica e a fornirle imbarcazioni, dovranno istituire un sistema rigoroso di monitoraggio e valutazione dell’impatto di tale cooperazione sui diritti umani.
Fino a quando la Libia rimarrà un paese non sicuro per i migranti e i rifugiati, i centri europei di soccorso marittimo (nella maggior parte dei casi, l’Mrcc di Roma) dovranno ricorrere alla Guardia costiera libica solo quando strettamente necessario per salvare vite umane e se non vi siano altre navi a disposizione per assistere imbarcazioni in avaria, e solo in acque territoriali libiche.
Le autorità libiche dovranno espressamente riconoscere e accettare il fatto che il diritto marittimo consente passaggi sicuri e senza necessità di autorizzazione per soccorrere persone a bordo d’imbarcazioni in avaria all’interno delle acque territoriali di un paese.
Gli stati membri e le istituzioni dell’Unione europea dovranno assicurare che le Ong impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso in mare possano contribuire a salvare migranti e rifugiati nel rispetto delle norme e degli standard internazionali.