La decisione del TAR Lazio sui direttori dei musei ha suscitato reazioni risentite da parte di chi confidava che una giusta esigenza di internazionalizzazione di un settore cosi importante, fosse sufficiente a cancellare le anomalie della nostra legislazione.
Ma non è così.
Il nostro ordinamento ha introdotto – dopo lunghi contenziosi giudiziari e una procedura di infrazione da parte della commissione europea – un regime più flessibile nell’accesso degli stranieri al settore pubblico solo nel settembre 2013, quando il pubblico impiego è stato aperto, oltre che ai cittadini dell’Unione, a lungosoggiornanti, familiari di comunitari e titolari di protezione internazionale (cfr. l’attuale art. 38 Dlgs 165/01) .
Tale sistema tuttavia non solo mantiene una esclusione da tutti i posti di lavoro pubblici degli stranieri titolari di un ordinario permesso di lavoro, ma continua a riservare ai soli cittadini italiani tutti i posti di lavoro indicati nel DPCM 174/94.
Questo decreto contiene un elenco di posti di lavoro talmente ampio che di fatto non viene rispettato neppure dalle amministrazioni: si consideri che dovrebbero essere riservati agli italiani non solo tutti i posti di lavoro alle dipendenze di alcuni ministeri (ad es. persino il portiere o un operaio dipendente del ministero dell’Interno) ma anche tutti i posti di lavoro dirigenziale che spesso invece non comportano alcun particolare esercizio di poteri pubblici: cosi ad esempio , gli enti del servizio sanitario, quando bandiscono un concorso per medici, lo aprono anche alle categorie di stranieri elencate nell’art. 38 Dlgs 165/01, derogando in via di fatto alle regole rigide fissate nel 1994.
Non solo : il decreto contrasta anche con l’orientamento della Corte di Giustizia europea secondo la quale possono essere riservati ai cittadini, esclusivamente i posti di lavoro che comportino esercizio di pubblici poteri in via continuativa e quale caratteristica essenziale del posto di lavoro.
La realtà è che in un contesto internazionalizzato, la pretesa di collegare il perseguimento degli interessi pubblici al vincolo giuridico della cittadinanza non ha piu senso, anzi rischia di depauperare gravemente il patrimonio di conoscenze della nostra collettività, attribuendo prevalenza a una condizione giuridica rispetto alla valutazione del merito.
D’altra parte se, come ha affermato la Corte Costituzionale nella sentenza che ha aperto il servizio civile agli stranieri (Corte Cost. 119/15), un cittadino straniero può essere “al servizio della Patria” ai sensi dell’art. 52 Cost. , a maggior ragione un dipendente pubblico, anche se in posizione di rilievo, può essere “al servizio esclusivo della Nazione” come prescrive l’art. 98 Cost.
Anziche piangere sulla decisione del TAR Lazio, il Governo dovrebbe immediatamente mettere mano sia a una modifica del DPCM 174/94 che limiti i posti riservati agli italiani in adesione ai principi comunitari , sia a una iniziativa parlamentare che apra l’accesso ai concorsi pubblici a tutti gli stranieri titolari di un permesso che consente di lavorare.
ASGI , che è impegnata da tempo in questa direzione con proposte legislative e azioni giudiziarie, confida che la vicenda dei direttori dei musei diventi una occasione decisiva per assumere tali iniziative.