Quella dei mass-media è oramai una vera e propria emergenza democratica. Siamo molto oltre la “TV spazzatura” che si è evoluta in una vera e propria “TV fognatura”, soprattutto quando essa agisce in combinazione con i cosiddetti “social network” che sono una vera e propria “fogna sociale”.
Basta accendere una TV la mattina e seguire i palinsesti delle varie TV nazionali per tutto il resto della giornata per rendersi conto di tale situazione. Il 90% della “informazione” trasmessa riguarda i cosiddetti “casi umani”, cioè storie più o meno “dolorose” che vengono raccontate secondo un preciso canovaccio, utilizzando spesso attori che sanno rendere al meglio le varie storie.
Nulla viene lasciato al caso. Quelle che sembrano dirette televisive sono per lo più registrate e anche quando i presunti “casi umani” vengono interpretati dai diretti interessati, anche nei loro confronti ci sono spesso compensi economici di vario tipo. C’è un giro di affari attorno alla “TV fognatura” e ai “social network” che si chiama pubblicità.
Di settimana in settimana la “TV fognatura” e i “social network” annessi macinano letteralmente storie e persone che di fatto prostituiscono e mercificano la loro persona perché sulla loro presunta “storia dolorosa” si macinano soldi. Queste storie aumentano l’audience e ciò significa introiti pubblicitari maggiori per le TV e vendite per i prodotti reclamizzati associati di volta in volta a quelle storie. “Storie dolorose” che durano qualche giorno e che quasi sempre moltiplicano il dolore.
Trasmissioni che si possono ben definire “pornografiche”, con attori e attrici che possono essere considerate delle vere e proprie pornostar, che sbavano letteralmente quando riescono a portare in TV persone, soprattutto donne, che dichiarano di aver subito violenza sessuale. Ricordo una trasmissione di qualche anno fa dell’ineffabile Santoro che riuscì a far dichiarare ad una donna vittima di un prete pedofilo fiorentino i dettagli più intimi e scabrosi delle violenze subite.
Conduttori e attori che si comportano come “papponi” o “maitresse” che diffondo la prostituzione dell’anima e anche dei corpi per un punto di audience in più, per aumentare i propri profitti e quello delle aziende pubblicitarie. Il tutto sulla pelle dei “casi umani” che vengono spremuti come limoni e poi buttati via.
Come si fa con le prostitute o la pornografia. “Papponi” o “maitresse” che dall’alto dei milioni di euro che guadagnano si permettono poi anche di ergersi a guide della pubblica e privata moralità.
Dove è l’interesse pubblico in “notizie” del genere? Questo tipo di “informazione” non è forse lesiva dei fondamentali diritti umani delle persone?
L’ Articolo 1 del codice deontologico dei giornalisti italiani dice con chiarezza che tutto ciò che oggi viene fatta passare per “informazione” è in realtà solo “fognatura” perché il “diritto insopprimibile dei giornalisti” alla “libertà d’informazione e di critica” è “limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”. Sono “notizie” solo le cose di interesse pubblico. Tutto ciò che riguarda la sfera privata non può e non deve essere oggetto di attività “giornalistiche” comunque camuffate.
I diritti umani fondamentali vengono così calpestati senza ritegno.
Ciò che le leggi prescrivono in materia di tutela della riservatezza delle persone viene sistematicamente violato e ciò succede oltre che sulle TV anche sui cosiddetti social-network. Su questi strumenti la violazione dei diritti fondamentali delle persone è sistematica e scientificamente finalizzata al profitto dei padroni dei vari network esistenti. Il caso più eclatante è quello di Facebook più volte finita sotto accusa per ospitare gruppi e pagine violenti o istiganti all’odio razziale e religioso.
Ebbene bisogna prendere coscienza che Facebook non ha alcun interesse a chiudere le pagine di chi istiga all’odio razziale o di chi promuove le cosiddette “fake news” (le notizie false). Entrambe queste tipologie di pagine raccolgono milioni di like e ogni like per Facebook costituisce una fonte di informazione sulle persone che li esprimono, e quindi consente alle aziende pubblicitarie di fornire pubblicità mirate alla singola persona. Ma oltre ai like sono preziose fonti di informazione anche qualsiasi testo di commento viene scritto.
Ci sono oramai potenti software di analisi dei testi che consentono di inviare pubblicità in modo preciso allo specifico utente. Ma non è solo Facebook che fa questo lavoro. Anche tutte le aziende ad essa collegata utilizzano questo meccanismo. Chi ha avuto modo di comprare qualcosa, ad esempio, attraverso Amazon ed ha un profilo Facebook, si è visto proporre, nei giorni successivi all’acquisto, pubblicità da parte di Amazon su oggetti simili.
Bisogna prendere coscienza del fatto che Facebook è uno strumento intrinsecamente cattivo, che persegue l’arricchimento del suo proprietario e il contemporaneo asservimento di chi lo usa. Con l’aggravante che questo asservimento viene fatto con il “consenso” dei diretti interessati ingannati dalle regole della cosiddetta “privacy” che non tutelano affatto i diritti umani degli utenti perché essa è finalizzata alla raccolta da parte di Facebook di notizie sensibili sui singoli utenti.
Ma le informazioni che Facebook raccoglie vengono usate anche da chi gestisce le campagne elettorali per condizionare gli utenti attraverso la calibrazione dei messaggi verso gruppi sociali definiti.
Le “fake news” non verranno così mai abolite, i gruppi che istigano all’odio altrettanto così come quelli che promuovono le cosiddette “catene” sugli argomenti più vari, dai casi umani, ai gruppi religiosi che mirano ai soldi delle persone attraverso il loro assoggettamento psicologico e quant’altro esiste in quella che è oramai una vera e propria “fogna sociale”.
Di tutte queste cose ha parlato recentemente anche la trasmissione Report di Rai 3. Ma anche qui si tratta di una informazione inefficace perché diffusa in un orario non di punta e che comunque non è tesa a mettere in discussione una realtà che coarta la coscienza delle persone. Il fenomeno dei social network non viene messo in discussione e nessuno è stato invitato ad uscire da questo “mondo virtuale” finalizzato al profitto e all’asservimento delle persone.
Non bisogna ovviamente stupirsi che le persone si lascino coinvolgere dai “casi umani” che umani non sono o dalle fake news o dalle propagande violente che trovano terreno fertile nell’ignoranza diffusa, nella miseria causata dalla crisi, nella distruzione dei rapporti umani.
L’umanità dei nostri tempi, ma non è molto diverso dal passato, è una umanità dolente, senza punti di riferimento, senza la capacità di riconoscere l’altro e di averci a che fare personalmente. La virtualizzazione dei rapporti sociali attraverso i “social network” aliena ancora di più le persone ed è funzionale al controllo sociale e agli interessi di chi detiene il controllo di quella enorme massa di informazione sugli interessi, i sentimenti, i problemi delle persone.
Chiediamoci perché l’accesso a Facebook è gratis ma ciononostante il suo padrone è al momento l’uomo più ricco e potente del mondo. Egli possiede una ricchezza immateriale enorme, che è quella di poter controllare le coscienze di alcuni miliardi di persone, e questo si è tradotto in una ricchezza materiale altrettanto enorme.
Possiamo continuare a far finta che queste cose non esistono? Possiamo continuare a pensare che bisogna esserci su Facebook perché solo così si può rimanere in contatto con le persone lontane? Possiamo continuare a pensare che sia possibile piegare Facebook ad interessi leciti?
L’informatica può essere uno strumento di lavoro. Usata così come la usano i padroni dei social network diventa uno strumento di oppressione e dominio dell’umanità.
Sono questi i motivi che mi hanno spinto nei giorni scorsi ad annunciare la mia uscita da Facebook a partire da domani. La mia decisione contiene al suo interno anche un appello a quanti seguono il nostro lavoro che si svolge principalmente attraverso il nostro sito www.ildialogo.org.
Ma il mio è anche un appello a tutti quei giornalisti italiani che subiscono un mondo della informazione che ha oramai come attività prevalente quella dei “casi umani” che non danno fastidio al potere e che suscitano attenzione ed empatia perché ognuno di noi è un potenziale “caso umano”. Tutti siamo disposti ad immedesimarci nei dolori altrui proprio pensando di potersi ognuno trovare in situazioni simili.
Ma un giornalismo pietistico nega l’essenza stessa del giornalismo, perché si tratta di un modo di concepire l’informazione che alla fine sostiene quei poteri economici e politici che poi sono i responsabili principali dei “casi umani” di cui sono inondate le TV ed i social network.
Come giornalisti abbiamo la necessità di porci una domanda ed è questo il momento di farsela.
Vogliamo essere “giornalisti impiegati” al servizio del padrone o “giornalisti giornalisti”, come viene raccontato nel film “Forte Apache” sulla vita di Giancarlo Siani ucciso dalla Camorra? La scena vede come protagonisti l’allora capo redattore della redazione presso la quale lavorava Siani e lo stesso Siani. È una scena e sono parole che ognuno che esercita il mestiere di giornalista dovrebbe ripetersi ogni giorno della sua vita. (vedi la scena al seguente link youtube.com ).
Noi la nostra scelta l’abbiamo fatta. C’è qualcuno che vuole darci una mano su questa strada? Poi si può anche rimanere su Facebook ma con una coscienza diversa e soprattutto come comunità. Insieme si può.