Urne oggi aperte in Algeria per la designazione della nuova Assemblea Nazionale del Popolo. 23 milioni di elettori sceglieranno i 462 nuovi parlamentari tra i 12.591 candidati iscritti nelle liste elettorali, divisi tra 63 partiti politici oltre a liste e a coalizioni indipendenti. A primo acchito niente di particolarmente rilevante da segnalare se non fosse per quelle immagini dei cartelloni elettori, affissi soprattutto nel sud del Paese, che hanno evidenziato un chiaro problema di pari opportunità uomo-donna. Infatti, per le candidate di sesso femminile accanto il nome, al posto del reale volto, è stato disegnato un profilo ovale bianco incorniciato dall’hijab, il velo tradizionale islamico.

Ed è accaduto che anche in televisione il volto della candidata presente in studio sia stato sostituito con un avatar vuoto: è il caso di Fatma Tirbakh, candidata del Fronte Nazionale per la Giustizia Sociale (FNJS), che ha spiegato che è stata la famiglia a insistere perché la sua immagine non venisse mostrata in tv. Non è la prima volta che si verifica una situazione di questo genere: già in Egitto nel 2011 e 2012 e in Palestina nel 2016 i volti delle donne candidate erano stati rimossi e sostituiti da immagini floreali o addirittura in alcuni casi come nome della candidata era stato posto il riferimento alla figura maschile più vicina in quanto “moglie di”, “figlia di”, “sorella di”.

In Algeria però la questione ha subito aperto una contrapposizione interna fra le forze politiche laiche e quelle più islamiste e attivato anche le Autorità elettorali del paese, che hanno indicato come “pericolosa, illegale, opposta alle leggi e alle tradizioni” la pratica e dato 48 ore di tempo per cambiare i manifesti ai 5 partiti coinvolti, il Fronte delle Forze Socialiste (FFS), l’Union Ennahdha-Adala-Bina, il Fronte nazionale algerino (FNA), il Fronte algerino per lo sviluppo, la libertà e la giustizia (FADLJ) e il Fronte della militanza nazionale (FMN), pena la cancellazione delle liste.

Una domanda sorge spontanea. Perché candidare delle donne se poi esse vengono così discriminate nella campagna elettore e, si immagina, successivamente sulla scena politica parlamentare? È in realtà una legge nazionale del 2011 ad aver imposto ai partiti una “quota rosa” pari a un minimo del 20% e a un massimo del 50% dei candidati.

Alle scorse elezioni dell’Assemblea Nazionale del 2012 tale meccanismo ha determinato l’elezione del 31% di donne, al posto del precedente 7%. Le donne quindi possono vincere le elezioni ma di fatto, seppur sedute in parlamento, non governano, come denuncia Nadia Chouitem, deputata algerina del Partito dei Lavoratori. Ha costituito una evidente illusione che la presenza maggiore di donne nell’Assemblea Nazionale conducesse immediatamente a una normativa più favorevole alle stesse; anzi talvolta le sole donne che arrivano a ricoprire importanti ruoli pubblici sono le stesse che minano a creare una società equa e paritaria.

Ad esempio, l’attuale ministra algerina della Solidarietà nazionale, della Famiglia e delle Donne, Mounia Meslem, nel 2013 ha proposto di trasferire gli stipendi delle donne sposate impiegate nel servizio pubblico direttamente allo Stato, in considerazione del possibile mantenimento che sarebbe comunque stato assicurato alle stesse dal marito. Al di là dei singoli episodi eclatanti, anche i dati del Forum Economico Mondiale supportano un evidente gap di pari opportunità tra uomini e donne algerini sul piano dell’istruzione, dell’accesso al lavoro e delle opportunità economiche; i vari indicatori hanno assegnato al paese il 120° posto sui 144 paesi esaminati, quasi in fondo a una classifica di crescente disparità di genere.

Eppure l’Algeria ha una buona storia di progresso in relazione ai diritti della donna ed è inoltre uno dei paesi nordafricani che ha forse meglio reagito all’ondata di rivolte popolari che si sono sollevate nel corso della primavera del 2011: riforme interne e attivazione di programmi sociali e assistenziali finanziate coi proventi dell’esportazione di idrocarburi hanno consentito all’amministrazione statale di alleviare le tensioni interne e di dare stabilità al paese. Oggi però la riduzione dei guadagni legata all’abbassamento del prezzo del greggio e l’attuale congiuntura economica mettono in crisi la strategia di spesa pubblica avviata negli anni passati. Inoltre, la consapevolezza della totale dipendenza economica dell’Algeria dalle esportazioni degli idrocarburi di fatto delinea una politica interna e internazionale inconsistente e piuttosto debole.

L’Algeria presenta diversi altri elementi di incertezza: il terrorismo che interessa la fascia settentrionale del paese e la Cabilia, le spinte di instabilità provenienti dalla regione del Sahel, gli scontri tra comunità che talvolta interessano il sud del territorio, uniti all’alto tasso di disoccupazione giovanile (al 30%) e ai bassi salari costituiscono un mix sociale tendenzialmente esplosivo. Anche le riforme costituzionali adottate un anno fa, volte ad abbracciare una democrazia più aperta, con garanzie ai principali diritti civili e politici quali la libertà di riunione, di espressione e di stampa, si sono dimostrate inconsistenti alla prova dei fatti.

Negli ultimi mesi, come in passato, il lavoro di giornalisti e di attivisti è stato minuziosamente controllato e si è usata l’arma della reclusione per limitare le critiche alla governance statale.

Non da ultimo, l’ottantenne Abdelaziz Bouteflika, presidente della Repubblica dal 1999 e rieletto per il suo quarto mandato nell’aprile 2014, secondo molti non sarebbe ormai che un “fantoccio” nelle mani di quel sistema clientelare costituito da migliaia di individui appartenenti a governo, esercito, servizi segreti, magistratura, partiti politici che dominano l’Algeria sin dalla sua indipendenza, alimentato dai profitti provenienti dal commercio degli idrocarburi. Il precario stato di salute di Bouteflika era già stato oggetto dell’attenzione di diversi analisti nel 2014, i quali avevano messo in dubbio non solo le sue capacità di camminare e di stare in piedi, ma anche di parlare e di ragionare in maniera fluida: questa situazione rende ancora più urgente la necessità della sua successione e affida al voto di oggi un ulteriore valore.

 

Miriam Rossi