Nel 2012 un uomo della Louisiana, Rodricus Crawford, viene giudicato colpevole di uno dei più efferati crimini immaginabili: l’uccisione di suo figlio, di meno di un anno di età. La condanna a morte è automatica. L’opinione pubblica è sazia. Giustizia è fatta.
Invece, il 19 aprile Crawford è diventato il 158mo condannato alla pena capitale riconosciuto innocente da quando negli Usa, dal 1977, sono riprese le esecuzioni.
Suo figlio è morto di cause naturali, una polmonite letale, come era emerso già cinque anni fa.
La contea di Caddo è nota a chi si occupa di pena di morte per i processi basati sul pregiudizio razziale e sulla condotta non professionale della Procura.
Nel processo che sto raccontando il procuratore Dale Cox, coinvolto in un terzo del totale dei casi in cui tra il 2010 e il 2015 le giurie hanno chiesto la condanna a morte degli imputati, aveva così convinto i giurati: Gesù Cristo avrebbe certamente condannato a morte Crawford, colpevole di aver soffocato suo figlio. Non andò così.