Domenica 9 aprile si sono chiusi i seggi elettorali per i turchi residenti in Germania, chiamati a votare – una settimana prima che in Turchia – nel referendum costituzionale che potrebbe espandere i poteri del Presidente Tayyip Erdoğan.
Il voto dei turchi in Germania potrebbe essere fondamentale per il risultato del referendum: gli aventi diritti al voto qui sono circa 1,4 milioni e le statistiche elettorali prevedono che le percentuali di votanti per il Si (Evet) e per il No (Hayir) in Turchia siano sostanzialmente equivalenti, con un 20% di votanti tutt’ora indecisi. A Berlino, Amburgo, Hannover, Francoforte, Colonia e negli altri seggi tedeschi, l’affluenza alle urne è stata del 48.7%, stando alla commissione elettorale di Ankara.
La riforma
Se dovesse vincere il Si il paese virerebbe verso una forma di stato presidenziale: la carica di primo ministro verrebbe abolita e i suoi poteri saranno in capo allo stesso Presidente. I membri del CSM turco (Hakimler ve Savcılar Yüksek Kurulu, HSYK), organo supremo della magistratura, saranno dimezzati (da 22 a 12) e sei di questi saranno nominati direttamente dal Presidente. Infine, parti della riforma ridurrebbero il potere delle forze armate nei tribunali e nel Consiglio di Sicurezza Nazionale (MGK). Diminuire il potere degli organi militari è un argomento molto caro ai turchi, che difficilmente dimenticano i carri armati e gli aerei da guerra a bassa quota ad Ankara ed Istanbul lo scorso luglio, durante il tentativo di colpo di stato.
Il contesto in cui la riforma costituzionale è stata proposta è particolarmente preoccupante. La libertà di accedere alle informazioni da parte dei cittadini turchi è estremamente ridotta, in un momento in cui sostanzialmente tutte le televisioni, le radio e i giornali hanno una linea editoriale filo-governativa. Inoltre, lo stato di emergenza introdotto dopo il tentativo di colpo di stato è tutt’ora in vigore nel paese. Infine, la retorica della sicurezza contro il terrorismo viene utilizzata in maniera strumentale nella campagna per il Si, dopo mesi di tragici attentati in molte città turche.
La campagna elettorale: Hayir e Evet in Germania
Il presidente Erdoğan ha avuto numerosi scontri con i leader europei nelle scorse settimane, in particolare in Olanda e Germania, dove non è stato permesso ai leader del suo partito AKP di tenere dei comizi in occasione della campagna referendaria. I governi europei, per farlo, hanno espresso preoccupazioni relative alla sicurezza pubblica. In particolare, sono stati annullati i comizi elettorali del Ministro della Giustizia turco Bozdağ e del Ministro dell’Economia Zeybecki, a Gaggenau e Colonia, e del ministro dell’Energia Taner Yıldız a Kelsterback. Inoltre, venerdì 7 marzo, il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha annullato il proprio viaggio ad Amburgo. La reazione del presidente turco è stata aspra, additando tali misure come fasciste e naziste. Reazione giudicata troppo dura anche da Gokay Sofuoglu, presidente della Comunità Turca in Germania, che aveva però invitato la Germania a concedere lo svolgimento di tali comizi in nome del diritto alla libera espressione politica.
Le tensioni nei rapporti tra Germania e Turchia non si limitano poi ai comizi elettorali: dev’essere ricordato l’arresto a Istanbul di Deniz Yücel, corrispondente del Die Welt con doppia nazionalità turco-tedesca, per “propaganda al terrorismo”. Alcuni ritengono che vi sia una logica dietro a questa escalation di attriti, alimentata dall’AKP per stimolare lo scontento verso i governi dei paesi in cui spesso i cittadini turchi vivono da decenni, arrivati come gastarbeiter– “lavoratori ospiti”- o in cui sono nati. “Questo scontento è sicuramente alimentato anche da una islamofobia crescente da parte dei tedeschi”, sottolinea Lotta, attivista del movimento di accoglienza Project Shelter di Francoforte.
La campagna per il Si in Germania è stata finanziata da varie entità, oltre al partito turco di governo AKP e dal partito nazionalista MHP. Un attore particolarmente influente in Germania è il DITİB, il Sindacato Turco-Islamico per gli Affari Religiosi. Il DITİB ha forti legami con Diyanet– il Direttorato per gli Affari Religiosi turco di Ankara- e i suoi imam sono, per legge, pubblici ufficiali turchi. Lo scorso dicembre, il DITİB è stato coinvolto in uno scandalo: i suoi imam sono stati accusati di essere spie del governo turco e di aver stilato liste degli oppositori politici e della comunità legata all’imam Fethullah Gülen in Germania. Accuse respinte con forza dagli imam turco-tedeschi.
Indiscrezioni circa lo spionaggio sui cittadini turchi in Germania sono circolate anche poche settimane fa, quando vari media tedeschi hanno riportato di liste redatte dell’intelligence turca, contenenti più di 300 nomi di oppositori politici su suolo tedesco e che potrebbero subire ripercussioni in caso di ritorno in Turchia. Dal primo aprile inoltre è stata aperta un’indagine della magistratura tedesca sull’operato di DITİB e Diyanet in Germania.
Una comunità sotto pressione
Al di là delle tensioni diplomatiche il voto in Germania per il referendum ha causato profonde divisioni in seno alla comunità turca. “Erdoğan fa breccia tra coloro che si sentono discriminati, che non hanno un buon lavoro, una buona educazione e che hanno un’identità nazionale controversa – sottolinea Caner Aver, del Centro di Studi Turchi di Essen – è riuscito a rassicurarli sotto l’egida dell’orgoglio turco, della nazione forte ed orgogliosa”.
Aslı, studentessa di scienze politiche a Colonia, ci dice che a suo parere il sostegno per il presidente Erdoğan si scontra paradossalmente a volte con le opinioni politiche generali di chi lo sostiene: “Parlando con queste persone, spesso mi sembra che abbiano un’idea salutare, anche se semplice, di cos’è una democrazia. Capisco però che, soprattutto dopo il tentato colpo di stato dello scorso luglio, questo termine ha assunto molti significati e viene utilizzato in contesti totalmente diversi”.
La campagna per il No è stata sostenuta anche in Germania in particolare dai principali partiti d’opposizione in Turchia, il CHP e il filo-curdo HDP. Per quanto riguarda la comunità curda in Germania occorre sottolineare che non è certo monolitica, neppure nel sostegno del No all’attuale referendum: da un lato troviamo infatti sostenitori del partito progressista HDP, i cui leader, Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, sono in carcere dal 4 novembre 2016, vittime del clima di repressione che vige in Turchia; dall’altro i curdi conservatori e religiosi che, nonostante l’interruzione del processo di pace nel sud-est del paese, è possibile votino per Erdoğan.
Certo è che la politica interna turca sta influenzando pesantemente anche le comunità turche all’estero. Pochi mesi fa Ali Toprak, presidente dell’associazione in sostegno della comunità curda in Germania (KGD), ha espresso forti preoccupazioni per questa dinamica che, a suo avviso, porta a frequenti minacce contro i curdi. Altre due comunità hanno denunciato esplicite e crescenti intimidazioni negli anni di governo AKP: la comunità alevita e molti gruppi di femministe turco-tedesche. Anche loro hanno fatto campagna per il No.
“Non credo sia giusto che i turchi all’estero possano votare – dice Elif, trasferitasi in Germania da due anni – parlo di coloro che sono nati qui, o che vivono qui da decenni. Non ha senso che il loro voto abbia un tale peso sulla politica interna turca”. Anche su quest’aspetto il dibattito è aperto: il diritto di voto per i cittadini con passaporto turco ma residenti all’estero è del resto cosa recente. E’ stato introdotto nel 2014, proprio in occasione delle ultime elezioni presidenziali che si sono concluse con la vittoria di Erdoğan.
Sofia Verza