Talvolta capita davvero di guardare la pagliuzza e non la trave. Così viene da pensare osservando in modo critico il dibattito politico sul rispetto dei parametri europei per il deficit di bilancio. Da Bruxelles chiedono all’Italia di diminuire il rapporto deficit/PIL dello 0,2%, che corrisponde a 3,4 miliardi di euro. Da settimane si discute in modo animato di questi decimali in percentuale e della cosiddetta “manovrina” che il Governo ha varato per recuperare i pochi miliardi richiesti.
Colpisce tanta attenzione per un dettaglio di secondaria importanza, quando il vero problema è il rapporto debito/PIL, che ha superato il 133%, cioè oltre 2.250,4 miliardi di euro al 31 gennaio 2017 (fonte: Banca d’Italia). Dato che il debito è superiore di 662 volte l’ammontare della “manovrina”, forse sarebbe il caso di porci seriamente qualche domanda sul futuro del nostro Paese. Le reiterate promesse di diminuzione del debito e del raggiungimento del pareggio di bilancio vengono puntualmente disattese. Ogni anno si rimanda all’anno successivo, senza spiegazioni.
Oltre alla trave del debito, non bisogna dimenticare il tronco dell’evasione fiscale. Se l’Italia fosse un Paese un po’ più illuminato, i problemi del deficit e del debito sarebbero inesistenti, una sorta di illusione ottica. Invece, secondo gli ultimi dati presentati a marzo da Enrico Giovannini, presidente della Commissione per la redazione della “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, nella cassa comune della Repubblica italiana chiamata fisco nel 2014 sono mancati 111,6 miliardi di euro.
L’imposta più evasa è l’IVA con 40,5 miliardi di euro: il che significa vendite senza fatturazione. Segue l’IRPEF da lavoro autonomo e da impresa, con 30,2 miliardi di euro, cioè molti redditi non dichiarati e di conseguenza non tassati. Al terzo posto di questa graduatoria dell’illegalità fiscale ci sono 10,9 miliardi di euro dell’IRES, l’imposta che si applica agli utili delle società. Altre tasse evase sono: i contributi non versati dai datori di lavoro (8,7 miliardi), l’IRAP sulle attività produttive (8,4 miliardi) e l’IMU sugli immobili (5,3 miliardi). All’ultimo posto troviamo l’IRPEF dei lavoratori dipendenti (5,1 miliardi).
Il “tax gap”, cioè la percentuale di imposte evase rispetto a quelle che si dovrebbero pagare, è salito nel 2014 al 24,8%. In media un quarto delle imposte dovute all’erario rimangono nelle tasche dei contribuenti, soprattutto degli imprenditori. Il record assoluto spetta alle tasse sui redditi dei lavoratori autonomi e da impresa (IRPEF): il 59% viene evaso! Anche l’imposta sulle aziende (IRES) non è molto rispettata, visto che l’evasione arriva al 36,7%. E poi l’imposta sui consumi (IVA) con il 29,9%. L’IMU arriva al 27,2% e l’IRAP al 24,1%. Elaborando un’analisi per settori, si scopre che il sommerso raggiunge il 30% nei servizi alla famiglie (in particolare incide il fenomeno delle cosiddette “badanti”, pagate “in nero”), il 26% nel commercio e nei pubblici servizi, il 24% nelle costruzioni e il 20% nei servizi alle imprese.
Acquisiti questi dati, bisognerebbe adottare un’adeguata strategia di contrasto. Se si riducesse l’evasione del 3%, non si discuterebbe della “manovrina”. Se il recupero fosse del 33% il deficit verrebbe azzerato e il debito pubblico comincerebbe a scendere. A questo proposito Enrico Giovannini ha sottolineato il limite delle risorse disponibili per l’attività di controllo e di contrasto dell’evasione: “circa 200 mila soggetti sono verificati annualmente, rispetto a quattro milioni di imprese”. Il che significa che viene controllata una società ogni 20, cioè il 5%.
Inutile stupirsi se i dati dell’evasione in Italia sono così alti, visto che il sistema dei controlli è palesemente inadeguato. Senza considerare che si continuano a confondere travi, tronchi e pagliuzze. Per uscire da questa situazione è urgente una maggiore consapevolezza ed è necessaria una nuova cultura della legalità fiscale.