Come sta andando l’Italia sul fronte economico e finanziario? Che tipo di scenari sono attesi? Quali sono le prospettive del debito pubblico per i prossimi decenni? Qualche risposta e alcune indicazioni utili si possono trovare nel Documento di Economia e Finanza (DEF) deliberato dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile scorso.
La prima annotazione interessante si trova già nella “premessa” del DEF, con un paragrafo dal sorprendente titolo “il benessere equo e sostenibile”. Vi si legge: “La crisi e prima ancora la globalizzazione hanno reso evidenti i limiti di politiche economiche volte esclusivamente alla crescita del PIL. L’aumento delle disuguaglianze negli ultimi decenni in Italia e in gran parte dei Paesi avanzati, richiedono un arricchimento del dibattito pubblico e delle strategie di politica economica. In questa prospettiva, nell’agosto del 2016 il Parlamento con voto a larga maggioranza ha inserito nella riforma della legge di contabilità e finanza pubblica il benessere equo e sostenibile tra gli obiettivi della politica economica del Governo. L’Italia è il primo Paese avanzato a darsi un compito del genere”.
Di conseguenza nel DEF 2017 sono stati selezionati – in via sperimentale – quattro indicatori del Benessere Equo Sostenibile (BES): il reddito medio disponibile, un indice di disuguaglianza, il tasso di mancata partecipazione al lavoro e la quantità di emissioni di CO2 e di altri gas clima alteranti. Per ciascuno di questi indicatori è stato evidenziato l’andamento nell’ultimo triennio e il previsionale per il prossimo sulla base delle scelte programmatiche del Governo. I dati – riportati e analizzati in un apposito allegato al DEF – risultano sostanzialmente positivi per tre indicatori su quattro.
Il reddito medio disponibile pro-capite mostra un aumento negli ultimi tre anni di alcune centinaia di euro all’anno: 21.200 euro nel 2014, 21.400 euro nel 2015 e 21.700 euro nel 2016. Il DEF prevede nei prossimi anni ulteriori crescite: dai 22.200 euro nel 2017 fino ad arrivare a 23.900 euro nel 2020.
Più articolata è la linea che mostra l’indice di disuguaglianza, che misura il rapporto tra il reddito medio del 20% della popolazione con più alto reddito e quello del 20% dei cittadini con reddito più basso. Tra il 2014 e il 2015 l’indice è diminuito da 6,8 a 6,4, ma dal 2015 al 2016 è rimasto invariato. Il DEF prevede una ripresa della tendenza a diminuire già nel 2017 con un indice di 6,2, fino a raggiungere nel 2020 il livello di 5,8.
Il grafico che rappresenta la mancata partecipazione al lavoro – cioè il rapporto tra i disoccupati e il totale dei lavoratori potenziali tra i 15 e i 74 anni – evidenzia una tendenza in costante discesa: nel 2014 il tasso era del 22,9%, nel 2015 del 22,5%, nel 2016 del 21,6%, nel 2017 si prevede un rapporto del 21% e nel 2020 del 19,2%. È di particolare interesse l’analisi di questo indicatore suddiviso tra donne e uomini. Nel 2014 il tasso relativo ai maschi è stato del 19,3%, mentre quello femminile si è attestato al 27,3%, con un gap dell’8% tra i due sessi. Nel 2016 la differenza è stata del 7,7%. Nel 2017 è previsto che il gap scenda al 7,3% e nel 2020 si dovrebbe arrivare al 6,3%. Ovviamente, si potrebbe rilevare che la riduzione, pur presente e programmata, sia ancora troppo debole, visto che il lavoro è il fondamento della Repubblica. In ogni caso, questi sono i dati indicati nel DEF.
Il quarto indicatore, invece, mostra dati preoccupanti. Nel 2016 ogni abitante della penisola ha “prodotto” in media 7,4 tonnellate di CO2 equivalenti. Nel 2015 erano state 7,2 e nel 2014 7,0 tonnellate. Insomma, nell’ultimo triennio si è verificato un aumento annuo di 0,2 tonnellate di anidride carbonica pro-capite . Tutto ciò nonostante le misure intraprese da alcuni anni: incentivi per le fonti rinnovabili e detrazioni fiscali per la riqualificazione e il miglioramento dell’efficienza energetica (Ecobonus). Prendendo atto di questi dati, il Governo si pone l’obiettivo di frenare la corsa al rialzo, con la proroga e il potenziamento dell’Ecobonus, le norme sui requisiti minimi degli edifici e la realizzazione di infrastrutture per la diffusione dei carburanti a più basso contenuto emissivo. Pertanto, la previsione per i prossimi anni è di contenere la generazione di CO2 al di sotto di 7,5 tonnellate per abitante.
Sarà interessante monitorare annualmente questi indicatori, per verificare se le politiche del Governo riusciranno veramente ad assicurare la diminuzione della disuguaglianza e il contenimento delle emissioni inquinanti. Per il momento è opportuno riferire della ricerca effettuata dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” – in collaborazione con Ref Ricerche – che ha applicato retroattivamente i quattro indicatori BES del DEF nel periodo dal 2007 al 2015 a tutti i Paesi dell’Unione Europea. Il risultato dell’indagine è sintetizzato nel titolo del quotidiano della Confindustria del 24 aprile scorso: “Indicatori del benessere, in Europa l’Italia non esce a testa alta”. Vedremo se nei prossimi anni si potrà constatare un miglioramento della posizione dell’Italia in Europa.
Un’altra tematica di particolare interesse contenuta nel DEF è la cosiddetta “emergenza migranti”. Anzitutto, vengono riportati i numeri delle persone soccorse in mare negli ultimi anni: “complessivamente dal 2014, grazie all’impegno italiano sono state salvate in mare oltre mezzo milione di persone”. Nel 2016 si è verificato il dato annuo più elevato in assoluto: 181.436 persone: “il fenomeno è caratterizzato da un gran numero di donne e minori coinvolti. In particolare, il numero di minori non accompagnati ha superato i 25mila nel 2016”. Il DEF riporta anche i dati relativi alla spesa sostenuta dall’Italia per salvare queste vite umane, per le strutture di accoglienza e per garantire sanità e istruzione a questi migranti. Al netto dei contributi dell’Unione Europea, l’Italia ha speso 1.960 milioni di euro nel 2014, 2.559 milioni nel 2015 e 3.598 milioni nel 2016. Nel 2017 è prevista una spesa di 4.213 milioni. Ovviamente le previsioni per il futuro sono alquanto difficili, poiché dipendono dalla variazione dei flussi migratori.
Purtroppo il DEF segnala soltanto la spesa per soccorrere i migranti, senza indicare ad esempio il contributo che gli immigrati forniscono al sistema pensionistico. D’altra parte a pagina 97 del DEF si trova una significativa simulazione della variazione del debito pubblico in relazione ad un aumento o ad una riduzione del flusso immigratorio, dato che “l’invecchiamento della popolazione rappresenta uno degli aspetti più critici che l’Italia dovrà affrontare nel corso dei prossimi decenni”. Nella tabella IV.7 si vede chiaramente come gli immigrati condizioneranno il rapporto debito/PIL del nostro Paese: “un aumento del flusso migratorio del 20% a partire dal 2021 permetterebbe di diminuire sensibilmente il rapporto debito/PIL”. Infatti, la simulazione mostra come nel 2060 a flussi costanti d’immigrazione il rapporto debito/PIL dovrebbe scendere al 40% (nel 2016 siamo arrivati al 132,6%). Con un aumento del 20% del flusso il rapporto scenderebbe al 18%, mentre al contrario con una diminuzione del 20% di afflusso di immigrati il debito non riuscirebbe a scendere sotto la soglia del 60% in relazione al PIL. In altre parole la politica migratoria avrà un effetto economico rilevante: in 40 anni si potrà determinare una differenza del 40% (in più o in meno) nel rapporto debito/PIL. Un dato altrettanto importante dell’aumento o della diminuzione della produttività o dell’occupazione.
In prospettiva la variabile più significativa nel rapporto debito/PIL dipenderà invece dall’avanzo primario, cioè dalla differenza tra entrate e uscite nel bilancio statale, senza considerare gli interessi sul debito pubblico. Se l’Italia nei prossimi 40 anni raggiungerà un livello di avanzo primario medio del 3,8% rispetto al PIL, il debito scenderà al di sotto del 40%. Se l’avanzo arriverà al 2,8%, il rapporto del debito si fermerà appena sotto il 100%; se invece si stabilizzerà all’1,8%, il debito supererà il 140% del PIL.
Il problema è che sia nel 2015 sia nel 2016 l’avanzo primario è stato dell’1,5%. Nel 2017 il DEF prevede ancora un avanzo primario stabile all’1,5%. Il che significa che per risanare i conti pubblici la strada da percorrere è ancora in forte ascesa.