Non solo le navi militari si occupano dei migranti; è dal 2015 che varie organizzazioni umanitarie, tra cui Medici Senza Frontiere, hanno messo in moto strutture di soccorso nel Mediterraneo. Ne parliamo con Giorgia Girometti di MSF, in questo momento a bordo della Prudence, che da pochi giorni affianca l’Acquarius, gestita da Sos Mediterranée e Medici Senza Frontiere.
Giorgia, potresti riassumere i termini del vostro progetto?
Questo è il terzo anno che portiamo avanti le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e lo facciamo con due navi, la Prudence e l’Aquarius, quest’ultima in collaborazione con SOS Mediterranée.
La Prudence è una nave commerciale di 75 metri di lunghezza, che può ospitare a bordo 600 persone e altre 400 in caso di estrema necessità.
Con 13 persone dello staff MSF a bordo, tra cui diversi italiani e 17 membri dell’equipaggio, la nave è equipaggiata per fornire primo soccorso ed è dotata di pronto soccorso, ambulatorio, farmacia e aree per trattare i casi più vulnerabili.
Come negli scorsi anni, conduciamo operazioni di ricerca e soccorso nelle acque internazionali tra Italia e Libia (la SAR zone- zona di ricerca e soccorso, che inizia dalle 25 miglia dalla costa libica), cercando proattivamente imbarcazioni che hanno bisogno di aiuto e dopo aver effettuato il soccorso, forniamo prima assistenza medica a bordo. Come per tutte le navi in questa zona geografica, le operazioni avvengono sotto il coordinamento dell’MRCC, il Centro di Coordinamento Marittimo della Guardia Costiera Italiana per i soccorsi in mare.
Come si presenta la situazione sul campo?
Purtroppo, ancora in assenza di canali legali e sicuri, la situazione non è cambiata rispetto allo scorso anno. Anzi, secondo i dati UNHCR gli arrivi in questi primi mesi del 2017 sono addirittura aumentati (18 741 nel 2016 e 22 303 nel 2017). Questo vuol dire che non saranno politiche di chiusura delle frontiere e di deterrenza a bloccare chi fugge.
Le persone che soccorriamo e prendiamo a bordo ci raccontano di non aver avuto altra scelta se non quella di intraprendere il viaggio in mare. Dopo essere fuggiti da violenza, guerra e persecuzione nel loro paese di origine, sono state poi costrette a scappare dalla Libia, che molti di loro descrivono come un vero e proprio inferno. Il contesto libico è ad oggi estremamente pericoloso e instabile; la maggior parte delle persone sono state vittime di violenze perché migranti, hanno subito percosse, abusi sessuali, fino ad uccisioni.
Si tratta di persone originarie dei paesi dell’Africa Sub-Sahariana, quali ad esempio l’Eritrea. Nel 2015, i rifugiati eritrei erano il gruppo più numeroso ad attraversare il Mediterraneo, mentre nel 2016 sono stati invece quelli provenienti dalla Nigeria, oltre che dal Sudan, dalla Costa d’Avorio e dal Gambia. La maggioranza sono uomini, anche se ci troviamo davanti a un numero crescente di donne, molte di loro incinta (una media di una donna su dieci) e minori non accompagnati.
Dato il contesto mutevole in cui ci troviamo ad operare, è difficile dire quale sarà il trend per il 2017.
Qual è il vostro approccio con i migranti?
E’ difficile generalizzare: i migranti sono persone e ognuna di loro ha una storia e dei bisogni diversi, ma posso dire che in ogni fase delle nostre operazioni sono sempre centrali due aspetti: salvare la vita di queste persone e preservare la loro dignità in quanto esseri umani.
Per noi chi viene soccorso diventa un ospite a bordo della Prudence, al quale diamo primissima assistenza medica e umanitaria. Quando arrivano sono scossi e impauriti dal terribile viaggio che hanno appena affrontato; noi gli spieghiamo che si trovano finalmente al sicuro e che siamo lì per aiutarli e ascoltarli. Nei team di ricerca e soccorso sono sempre presenti dei mediatori culturali specializzati, il cui ruolo è fondamentale per garantire un canale di comunicazione e di prossimità (non solo linguistica, ma anche culturale) con chi viene soccorso.
Solidarietà e emozioni: ci puoi narrare qualche episodio positivo di questi giorni?
Abbiamo appena iniziato le operazioni e per il momento non abbiamo ancora effettuato nessun soccorso, a molti di noi del team di MSF hanno già avuto negli scorsi anni un’esperienza di ricerca e soccorso. Vedere che siamo di nuovo a bordo per un’altra missione vuol dire che ciò che abbiamo vissuto, le persone che abbiamo soccorso e le storie che abbiamo ascoltato hanno significato moltissimo ed è per questo che siamo di nuovo qui.
Per quanto prevedete di andare avanti?
Dal 2015 portiamo avanti le operazioni di ricerca e soccorso perché c’ è un bisogno crescente di assistenza in mare. Quest’anno ci troviamo ancora davanti a questo stesso bisogno, ed è per questo che abbiamo deciso di rinforzare le operazioni con un’imbarcazione più grande, per affiancare l’Aquarius, che è invece rimasta in mare durante tutto l’inverno. Continueremo durante tutta la stagione estiva e poi valuteremo la nostra presenza in base ai bisogni.
Cosa dovrebbero fare i governi secondo voi per risolvere quest’emergenza umanitaria?
MSF è un’organizzazione umanitaria; non spetta a noi trovare soluzioni politiche per gestire il fenomeno migratorio a livello mondiale. Ciò che vediamo oggi con le nostre operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale e in altri paesi europei ci mostra però chiaramente che le politiche di deterrenza, finalizzate a ridurre il flusso migratorio ad ogni costo, non stanno riducendo il numero di morti in mare e hanno un impatto limitato sul numero di arrivi. Sono politiche che creano solo ulteriore sofferenza a persone già vulnerabili, che non avendo nessun’altra alternativa continueranno ad intraprendere viaggi rischiosissimi. Per questa ragione chiediamo alle autorità europee di creare un meccanismo proattivo di ricerca e soccorso in mare, per ridurre il numero di morti nel Mediterraneo.
Crediamo inoltre che l’unica soluzione sul lungo periodo sia quella di offrire una reale alternativa alla traversata in mare, alternativa che oggi non esiste. I leaders europei devono agire immediatamente per creare dei canali legali e sicuri per chi chiede asilo, creare dei percorsi migratori legali e dare la possibilità di ottenere un visto. In questo modo, chi è alla ricerca di lavoro o chi invece richiede protezione potrà farlo in modo regolare senza rischiare la vita, invece di mettersi nelle mani di trafficanti senza scrupoli.
Per ora invece, per chi si trova in Libia e quindi costretto a fuggire, MSF continuerà le operazioni di ricerca e soccorso per limitare al massimo la perdita di vite umane in mare.