Gran parte della città di Mosul non è più sotto il controllo dell’ISIS. La parte orientale è stata liberata, ma non quella occidentale. L’ISIS, non ancora sconfitto, ha cambiato tattica. Auto bomba suicide, colpi di mortaio, fuoco dei cecchini e droni armati si aggirano i cieli e hanno trasformato le strade occidentali di Mosul in un campo di battaglia non convenzionale. Queste tattiche stanno infliggendo notevoli perdite ai soldati iracheni, truppe di terra della coalizione guidata dagli Stati Uniti. L’ISIS ha guardato e guarda come la coalizione lavora, ne individua le debolezze e colpisce.
Il prezzo più alto non lo stanno pagando i militari, ma i civili.
Secondo l’Osservatorio Iracheno per i Diritti Umani, sono 439 i civili finora morti nella battaglia cominciata il mese scorso per la conquista di Mosul e 299 quelli uccisi dai bombardamenti della Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Quasi centomila sono invece gli sfollati causati dall’offensiva dell’esercito iracheno su Mosul ovest. Il dato è dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).
A una cinquantina di chilometri a nord c’è la diga di Mosul. Un recente articolo del giornalista Fausto Biloslavo, pubblicato dagli Occhi della Guerra, racconta lo status attuale della diga.
Vi sono nell’articolo dei dettagli non esatti. Per esempio i lavoratori italiani non sono 300, ma una settantina. 300 è il totale di coloro, di diverse nazionalità, che lavorano per Trevi. Comunque sono dati ininfluenti.
Lo stesso Biloslavo, in un articolo pubblicato da Il Giornale a dicembre 2016, aveva scritto che l’annuncio ad effetto, prima di Natale 2015, del premier Matteo Renzi, sulla missione italiana in Iraq per difendere la diga di Mosul rischiava di trasformarsi nell’ennesimo buco nell’acqua, questa volta tragico e pericoloso.
L’ISIS ha già tentato l’ottobre scorso di attaccare la diga di Mosul e niente prova che non sia più un suo obiettivo, nonostante le difficoltà. Insomma il lavoro di riparazione (che non è non urgente) è ancora un rischio serio. Corrono un pericolo, innanzitutto i lavoratori e i 450 militari italiani che li proteggono.