Due filmati esaminati da Amnesty International mostrano militari dell’Esercito nazionale libico (Enl) nell’atto di uccidere a sangue freddo dei combattenti del Consiglio della shura dei rivoluzionari di Bengasi (Csrb) catturati nel quartiere di Ganfouda. Si tratterebbe di crimini di guerra, che andrebbero ad aggiungersi al lungo elenco di crimini di diritto internazionale commessi impunemente dai gruppi armati e dalle milizie che agiscono nell’est e nell’ovest della Libia.
Nel primo dei due video diffusi sui social media e verificati da Amnesty International, un soldato dell’Enl uccide a colpi di kalashnikov tre combattenti del Csrb inginocchiati, faccia al muro e con le mani legate dietro la schiena. Nel secondo video alcuni soldati dell’Enl scherniscono, umiliano e trascinano a terra un combattente del Csrb prima di ucciderlo.
“La deplorevole condotta dei soldati dell’Enl ripresi in questi video, che mostrano l’uccisione di persone catturate e prive di difesa, viola il diritto internazionale umanitario e costituisce un crimine di guerra”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice delle ricerche sull’Africa del Nord di Amnesty International.
L’Enl ha annunciato indagini sui due video e un suo portavoce ha dichiarato ad Amnesty International che i soldati ripresi nelle immagini sono stati arrestati e saranno interrogati. L’Enl ha inoltre diffuso un comunicato in cui parla di “casi isolati” commessi da singoli individui e afferma di aver ordinato alle unità che operano a Bengasi di assicurare che i responsabili di violazioni dei diritti umani siano consegnati alla polizia militare e sottoposti alla corte marziale.
Nel luglio 2016 ad al-Laithi, una zona di Bengasi riconquistata dall’Enl, erano stati trovati i corpi di 14 uomini assassinati dopo che erano state loro legate le mani. Né l’Enl né altre agenzie dello stato libico che si occupano di sicurezza hanno mai svolto indagini efficaci su queste o altre uccisioni sommarie.
Scarse speranze di ottenere giustizia
Le precedenti richieste d’indagini da parte di Amnesty International non hanno dato luogo a procedure trasparenti né a condanne nei confronti di appartenenti alle forze di sicurezza o alle milizie, anche quando vi erano evidenti prove della loro condotta criminale. Considerando la costante impunità per i crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani, la promessa che su questi ultimi episodi verranno condotte indagini appare vana e le prospettive di giustizia per le vittime e le loro famiglie paiono scarse.
La rottura istituzionale del 2014, dopo una lotta per il potere che ha diviso la Libia in fazioni regionali, ha ulteriormente compromesso le possibilità della magistratura di svolgere le sue funzioni. Sequestri di persona, uccisioni, torture, sparizioni forzati e altre violazioni dei diritti umani continuano a verificarsi, a opera di gruppi armati e milizie che operano nell’ovest e nell’est del paese nella più completa impunità.
“Occorre un’indagine credibile, indipendente e imparziale sugli ultimi casi, che trasmetta a coloro i quali compiono od ordinano crimini orrendi il messaggio che non devono considerarsi al di sopra della legge e che verranno puniti”, ha sottolineato Morayef.
“Dati i precedenti relativi al mancato accertamento delle responsabilità, è più che mai determinante che la Corte penale internazionale, che ha giurisdizione in Libia, ampli le sue indagini ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità in corso nel paese”, ha aggiunto Morayef.
Entrambi gli episodi ripresi nel video sono avvenuti nel quartiere di Ganfouda, una delle ultime roccaforti del Csrb a cadere. Ultimamente, l’avanzata dell’Enl ha costretto i combattenti del Csrb ad arretrare fino a una piccola enclave di palazzi conosciuta come Blocco 12 nel sud ovest del quartiere, dove gli scontri si sono intensificati.
Ganfouda è sottoposta a un blocco militare da mesi. L’Enl controlla le strade in entrata e in uscita. Le forniture di acqua, cibo ed energia elettrica sono state tagliate, dando luogo a una drammatica crisi umanitaria per le famiglie intrappolate nel quartiere.
Altre sospette violazioni dei diritti umani da parte dell’Enl
Da fonti vicine a famiglie di persone o a singole persone che si trovano a Ganfouda, Amnesty International ha ricevuto una serie di fotografie in cui si vedono soldati dell’Enl in posa tra cadaveri, darvi fuoco o fare scempio del cadavere di Jalal Maksoumi, un alto comandante del Csrb.
Il diritto internazionale umanitario vieta le mutilazioni dei cadaveri e impone alle parti in conflitto di riconsegnare i corpi alle famiglie che lo richiedano.
I cadaveri nelle fotografie dovrebbero riferirsi anche a persone del Blocco 12 e uccise durante gli ultimi combattimenti. Amnesty International non è stata in grado di verificare autonomamente le fotografie, ma una fonte vicina alle famiglie delle vittime ha fornito l’identità di tre degli uccisi.
Amnesty International ha parlato con tre distinte fonti vicine alle famiglie intrappolate nel Blocco 12. Hanno raccontato che, quando l’Enl è avanzato verso il blocco di palazzi, le famiglie hanno deciso di fuggire. I combattenti che sono rimasti, alcuni dei quali feriti, sono saliti a bordo – insieme alle loro famiglie, anziani e bambini compresi – di autobus diretti al quartiere di al-Sabbri.
Una fonte molto vicina alle vittime ha riferito che uno degli autobus, su cui erano a bordo almeno quattro famiglie, è andato in panne nei pressi del ponte di Giuliana, a circa cinque chilometri di distanza dal Blocco 12. A quel punto i soldati dell’Enl hanno aperto il fuoco, cui è stato risposto dall’autobus in panne. Alla fine i soldati sono riusciti a catturare tutti i passeggeri, tra cui cinque componenti di una famiglia (una madre, due figlie e due figli), in seguito ritrovati morti. Altri familiari hanno confermato la loro identità quando le immagini dei loro volti sono state rese pubbliche online. Altre famiglie risultano ancora scomparse.
Le circostanze di questo episodio restano incerte e Amnesty International non ha potuto verificare autonomamente ogni singolo dettaglio. Un portavoce dell’Enl, nel corso di un contatto telefonico con Amnesty International, ha detto che non ci sono state vittime civili e che cinque giovani donne erano state fermate e portate al Ministero dell’Interno “per essere restituite alle loro famiglie”. Il portavoce ha aggiunto che non ci sono civili in custodia militare. Al contrario, secondo le famiglie, sarebbero stati uccisi diversi civili, bambini compresi.
“Tutte le parti in conflitto devono assicurare che i civili siano protetti, come richiesto dal diritto internazionale umanitario. Ai civili che vogliono lasciare Ganfouda devono essere garantiti un percorso sicuro e la protezione dagli attacchi”, ha concluso Morayef.