Il 23 marzo, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi “Roma Tre” si è svolto l’incontro “Diritti Umani in Argentina”, una riflessione sui passi avanti realizzati nell’ultimo decennio in materia di diritti umani e sulle forti preoccupazioni emerse ultimamente circa i rischi di un’involuzione in questo settore.
La transizione dal kirchnerismo al “macrismo”, inaugurato dalla vittoria di Mauricio Macri alle presidenziali argentine nel 2015,è avvenuta in modo rapido e tutt’altro che indolore. Cristina Kirchner ha concluso il suo mandato tra accuse di corruzione e scelte che hanno spinto parte del suo elettorato a non rinnovare la fiducia alla sua coalizione, il Frente para la Victoria. Innegabili, comunque, i miglioramenti in materia di tutela dei diritti civili e politici registratisi negli ultimi anni. Si deve infatti a Nestor Kirchner, predecessore di Cristina, l’abolizione delle leggi che avevano garantito fino a quel momento l’impunità ai responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani compiute durante l’ultima dittatura militare, una tra le più spietate del Novecento. Negli ultimi anni sono state emesse centinaia di sentenze di condanna, nell’ambito di altrettanti processi, portati avanti spesso con difficoltà e timore da parte dei testimoni. Si è trattato di un passo avanti importante nella direzione del raggiungimento di quella giustizia che da decenni settori della società argentina chiedono venga assicurata. Giustizia che costituisce premessa necessaria per una ricomposizione delle fratture che da molto tempo dividono la popolazione.
A suon di decreti legge, Macri ha impresso una drastica svolta alla politica economica, tra le critiche di chi individua nelle politiche neoliberiste la causa principale dell’aggravamento delle forti diseguaglianze sociali. Di fronte ad alcune prese di posizioni e decisioni del governo in materia di diritti umani, associazioni e organizzazioni non governative hanno intensificato il monitoraggio, le segnalazioni e le denunce di azioni arbitrarie compiute dalle autorità. Il caso più discusso è stato quello dell’arresto, nel gennaio del 2016, di Milagro Sala, deputata del Parlamento del Mercosur, nonché dirigente e fondatrice dell’Organización Barrial Túpac Amaru,attiva nella gestione di servizi sociali e nel settore dell’edilizia popolare. All’arresto per aver guidato una protesta di fronte alla sede del governo di Jujuy è seguita la detenzione preventiva dell’attivista, di cui organizzazioni nazionali e internazionali hanno denunciato l’arbitrarietà. Le prime condanne inflitte all’attivista hanno poi contribuito ad appesantire le polemiche, facendo crescere l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul caso.
All’incontro a Roma Tre hanno partecipato il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, il Professor Claudio Tognonato, coordinatore dell’evento, il giornalista e videomaker Dario Lo Scalzo in rappresentanza del Comitato per la Libertà di Milagro Sala e i documentaristi Magalí Buj e Federico Palumbo, autori del documentario “Tupac Amaru, algo está cambiando”. Era presente anche il diplomatico italiano ed ex console in Argentina Enrico Calamai, l’“eroe scomodo”che tra il ’76 e il ’77 con l’aiuto del sindacalista Filippo di Benedetto aiutò centinaia di persone a scappare dall’Argentina. Calamai ha partecipato all’incontro in rappresentanza del Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, nato qualche anno fa per chiedere giustizia per le migliaia di migranti che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Il Comitato si è fatto promotore di un appello attraverso cui è stata chiesta la costituzione di un tribunale di opinione “che offra alle famiglie dei migranti scomparsi un’opportunità di testimonianza e rappresentanza; contribuisca ad accertare le responsabilità e le omissioni di individui, governi e organismi internazionali; e fornisca uno strumento per l’avvio delle azioni avanti agli organi giurisdizionali nazionali, comunitari, europei e internazionali”. Ci si auspica, al fine di garantire verità e giustizia alle vittime, la collaborazione concreta e convinta dell’Unione Europea e degli Stati membri, cui si chiedono, tra le altre cose, una politica comune di asilo e accoglienza, l’apertura di canali umanitari e l’istituzione di commissioni d’inchiesta sulle persone scomparse.
Il cammino verso l’accertamento dei fatti, ammesso che questo si verifichi, sarà comunque lungo e difficile, come del resto lo è stato quello che ha portato, con decenni di ritardo, alle condanne di alcuni dei responsabili dei crimini commessi in America Latina negli anni ‘70/’80. Risale ad appena due mesi fa la condanna all’ergastolo, da parte della Terza Corte di Assise di Roma, di 8 degli oltre trenta imputati processati per il sequestro e l’omicidio di 43 prigionieri argentini, cileni e uruguayani, di cui 23 di origine italiana. Crimini, questi,realizzati nell’ambito del Plan Condor, l’operazione congiunta di intelligence avviata nel 1975 dai governi di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile e finalizzata alla persecuzione degli oppositori politici attraverso le frontiere.
L’incontro a Roma Tre, patrocinato dal Gruppo di argentini in Italia per la Memoria, Verità e Giustizia,è stato organizzato in concomitanza con il quarantunesimo anniversario del golpe militare che, nel 1976, diede inizio alla dittatura. Durante la manifestazione per il Día de la Memoria por la Verdad y la Justicia, svoltasi a Buenos Aires il 24 marzo, la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo Estela Carlotto ha letto un documento di denuncia del governo Macri per la “miseria pianificata”, le misure repressive e la “perdita della sovranità politica ed economica”. In polemica con la presidente delle Madres de Plaza de Mayo Hebe de Bonafini, convinta kirchnerista, la Carlotto ha ribadito con forza l’apoliticità dell’organizzazione da lei presieduta, che dal 1978 ad oggi è riuscita, attraverso una lotta senza sosta, a rintracciare 121 giovani sottratti ai genitori durante la dittatura. La coraggiosa battaglia delle Abuelas per il diritto all’identità ha raggiunto anche l’Italia, dove nel 2009 è nata la Rete per il diritto all’Identità – Italia, un “nodo italiano” della “Red por elderecho a la Identidad” con l’obiettivo di collaborare nella ricerca dei giovani desaparecidos che vivono oggi, forse anche in Italia, senza conoscere le proprie origini. Una rete a cui chiunque abbia dei dubbi sulla propria identità può rivolgersi, per ottenere il supporto necessario e sottoporsi al test del DNA presso i consolati di Roma e Milano.
Il 24 marzo è stata anche la giornata mondiale per il diritto alla verità su gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime, istituita nel 2010 dalle Nazioni Unite per onorare la memoria delle vittime di crimini perpetrati in tutto il mondo e dare impulso alla realizzazione del diritto alla verità e alla giustizia. Ricorrenza annuale, quest’ultima, attraverso la quale si rende anche omaggio alla memoria di monsignor Óscar Arnulfo Romero, impegnato attivamente nella denuncia delle violenze compiute contro i settori più vulnerabili della popolazione di El Salvador, assassinato nel 1980 nella cappella di un ospedale cattolico di San Salvador. La morte di Romero diede il via ad una guerra civile durata 12 anni, facendo della piccola repubblica centroamericana una delle ultime “guerre calde” legate alla guerra fredda.
A distanza di ventotto anni dal crollo del muro di Berlino, in un contesto molto diverso, barriere fortificate continuano ad essere minacciate, consolidate o edificate. Nell’ambito di governi autoritari,ma troppo spesso anche in democrazia, la ricerca di verità e giustizia è ripetutamente ostacolata, quando non impedita. Oggi come ieri responsabilità dirette o indirette di violazioni dei diritti umani faticano ad essere investigate e sanzionate. Parlarne non è sufficiente a modificare questo stato di cose, ma, soprattutto di questi tempi, è un primo passo.
Laura Fotia