Le sementi tradizionali sono sotto attacco in tutto il mondo. Negli ultimi anni molti paesi africani hanno aperto le porte ai semi industriali e alla proprietà intellettuale, che spesso li accompagna. L’eccezione più recente è quella del Burkina Faso che prevede per il 2017 un raccolto di cotone migliore degli scorsi anni, dopo aver abbandonato le sementi ibride di Monsanto. Un report pubblicato a metà gennaio dal centro studi indipendente The Oakland Institute disegna una situazione fosca per la libertà dei contadini africani di scambiare, commerciare e piantare sementi tradizionali. Il rapporto dal titolo “Down on the seed” si concentra soprattutto sull’effetto che hanno avuto i programmi di G8 e Banca Mondiale sul mercato delle sementi, spingendolo verso il sistema industriale. Si tratta di programmi che puntano ad incrementare la produzione agricola, la ricerca e l’innovazione, e a rendere il sistema più permeabile ai soggetti privati.
La diffusione di sementi industriali nei paesi africani ha avuto come conseguenze: la diminuzione delle varietà coltivate, la diffusione di sementi ibride, non scambiabili e non replicabili, e la progressiva perdita del ruolo selezionatore dei contadini. La situazione del sistema sementiero pare ancora più preoccupante se si pensa al mercato mondiale. I semi oggi, infatti, sono monopolio di poche multinazionali dell’agrochimica. I programmi di miglioramento dell’agricoltura, in senso industriale, spesso sono accompagnati da campagne di interesse, per introdurre leggi che favoriscano il sistema sementiero formale. Questo ha spinto molti paesi africani ad approvare leggi che favoriscono il settore privato, la registrazione di varietà ibride e che puniscono i contadini che scambiano sementi protette. In Tanzania, per esempio, una nuova legge prevede fino a 12 anni di carcere per un contadino che vende un seme non certificato. Spesso, come nel caso della Tanzania, queste leggi permettono al paese di rientrare negli standard dei programmi di sviluppo agricolo, come quelli citati dalla ricerca del The Oakland Institute.
Nel rapporto viene analizzato anche il caso del Rwanda, che nel 2016 ha approvato una legge che proibisce lo scambio o la vendita di sementi ibride o protette. La nuova norma restringe la possibilità per i contadini di conservare sementi protette per propri campi e limita lo scambio di sementi tradizionali, restringendo questa possibilità alle varietà iscritte ad un apposito registro. In Ghana è in discussione una legge per garantire i diritti delle aziende sementiere attraverso la “Plant Breeders Rights Bill”, fortemente contestata dalla società civile e dai movimenti contadini. Le organizzazioni che si oppongono alla legge chiedono che il governo non punti solo a proteggere le varietà di semi industriali ma che garantisca anche il diritto dei contadini a conservare, scambiare e vendere semi tradizionali. I contadini sorpresi ad utilizzare varietà protette senza la licenza dovranno pagare multe molto salate. Anche a livello transnazionale gli Stati si sono organizzati. Il Mercato Comune dell’Africa del Sud e dell’Est (Comesa) ha adottato un sistema che armonizza il commercio di sementi tra paesi dell’area, facilita la capacità produttiva e offre supporto per certificazioni e regolamenti.
Il patrimonio dei semi industriali è appannaggio di pochi, ma l’80% delle sementi tradizionali è ancora nelle mani dei contadini. Le nuove leggi sostengono, però, la diffusione di poche varietà industriali e non tengono conto dei diritti collettivi, che da sempre hanno regolato il patrimonio inestimabile delle sementi contadine.
Marta Gatti da Nigrizia.it