Si tratta di un banale esercizio, libera associazione di idee. Io dico “finanza” e la gente inizia a sciorinare: “soldi, banche, affari, aviditá, crisi, ladri”. C’é anche chi si spinge oltre, “titoli tossici, azzardo morale, sofferenze, diseguaglianze, etc.”, in ogni caso il quadro non cambia. Sono sempre meno quelli che promuovono la tesi di una finanza umana, utile alla comunitá, etica nelle sue vesti di strumento di distribuzione di risorse economiche, laddove ce n’é piú bisogno: vedi i giovani, le piccole imprese, le regioni a piú alto tasso di povertá, i paesi emergenti. Questo perché la finanza si é quasi sempre occupata di imprese e persone che, un profilo bancario, l’avevano giá. Multinazionali, realtá imprenditoriali consolidate, famiglie benestanti, individui influenti, che non hanno certo bisogno di particolari meriti creditizi per accedere ai flussi di capitali, favorendo di fatto la creazione di una finanza privilegiata, dove gli scambi si limitano ad un circolo di pochi intimi, la minoranza che conta. Invece di farsi carico di valori responsabili ed appoggiare i veri progetti evolutivi della nostra societá, la finanza si é ridotta ad essere uno strumento di esclusione, anche di difficile digeribilitá ai piú, guidata da un principio lapidario del nostro tempo: il gap sempre piu amplio tra i rendimenti del capitale e del lavoro.
Tuttavia, la crisi finanziaria ed economica propagatasi dal 2008 in poi, il crollo della fiducia nelle banche, e delle stesse banche nei propri clienti, i salvataggi messi in scena dai governi mentre il popolo storce il naso, sono tutti sintomi palesi del fatto che il sistema capitalistico elitario stia scricchiolando. Una escalation ancor piu esacerbata dalla crescente forbice della disuguaglianza economica a livello globale, como riportato dall’ultimo contributo pubblicato da Oxfam, che é stato presentato ai leader del nostro tempo riunitisi al World Economic Forum di Davos, e che é bene leggere. In breve, si narra che 8 uomini posseggono la stessa ricchezza economica di 3,6 miliardi di persone, la metá piú povera dell’umanitá. Una disuguaglianza, come sostenuto da Joseph Stiglitz, cercata e ottenuta, ma che fortunatamente si puó curare. Dobbiamo, peró, invertire rotta. Bisogna estendere lo spettro d’azione. I guru della finanza, tanto cocciuti e attaccati ai loro portafogli, non lo faranno mai. A meno che non si parli di uno sfizio post-lavoro per darsi una patina di impegno sociale. O di una riscoperta passione per la povertá nel mondo che certi soggetti ostentano in un’opinabile cambio di corrente senile, vagamente fiabesco. Anche se poi, purtroppo, rattrappiti in un’autorevolezza letargica. Tutto questo dopo aver rimpinguato le tasche dei soliti noti per una vita intera, gli stessi contro i quali adesso questi pensionati dei mercati finanziari scrivono libri e lanciano campagne provocatorie, peraltro con toni sempre molto educati.
Detto questo, ripeto, si deve invertire rotta. E siamo costretti a farlo dal basso, tra di noi. Dobbiamo riappropiarci dell’idea che una finanza buona esiste, stimola l’imprenditoria etica e socio-ambientale, solleva l’economia dal basso e soddisfa le necessitá di base per chi non ha neanche quelle. I movimenti finanziari sociali sono in marcia giá da tempo, rinnegano il consumismo fine a se stesso, sfruttano la terra in maniera sostenibile e premiano, secondo schemi meritocratici, progetti che possono avere un impatto positivo sulle nostre vite. A maggior ragione se ci riferiamo a economie galoppanti di paesi extra UE, dove la finanza puó diventare una vera arma di redistribuzione di massa della ricchezza. Vi é poi la finanza integrata alla sviluppo locale, in grado di servire clienti che per la loro condizione economico-sociale hanno difficoltà ad accedere al settore finanziario formale. Per questo si discute di “inclusione finanziaria”: congegniamo dei meccanismi che ci permettano di garantire a tutti il diritto allo sviluppo e il diritto all’iniziativa economica, come li definisce la rete italiana della microfinanza, che raccoglie una mappa degli attori coinvolti sul territorio nazionale, investitori e fornitori di assitenza tecnica.
Abbiamo il dovere di concepire l’architettura di una finanza piú vicina e piú giusta, e al contempo arginare il divario insostenibile dell’attuale disegno. Tutto ció non significa sradicare il sistema attuale, al rogo le banche e tutti a zappare la terra. Si traduce nella capacitá degli istituti di credito di canalizzare meglio le risorse a disposizione, diversificare le attivitá a favore dell’inclusione finanziaria e sensibilizzare il piú possibile su questi temi. Ci tocca anche da vicino. In Italia l’immigrazione fa parte di un fenomeno globale inarrestabile, che crescerà. Anche l’indigenza sta crescendo. Tutte queste persone senza credenziali bancarie aumenteranno. Quali servizi finanziari si dovranno quindi prendere in considerazione? Quali i criteri per disegnare un’efficace inclusione finanziaria?
In uno spaccato storico dove la globalizzazione di stampo liberista fa a botte con promesse di protezionismo nazionalista, la finanza inclusiva si guadagna la sua credibilitá come valida alternativa di sviluppo bilaterale tra i paesi industrializzati e i paesi poveri, in un’equazione win-win dove tutti risalgono – una marea che sale solleva tutte le barche. Noi sappiamo che la maggior parte dei 2,3 miliardi di adulti senza accesso ai servizi bancari del mondo vive nelle economie impoverite o in via di sviluppo. Secondo il Global Findex database delle Nazioni Unite circa solo il 41% degli adulti residenti in queste economie possiede un conto aperto presso un istituto finanziario tradizionale, mentre nelle economie ad alto reddito la percentuale sale all’89%. Ad essi si aggiungono tutte quelle popolazioni servite solo marginalmente, perché ubicate in mercati privi di infrastrutture, fisiche e tecnologiche, con impianti legislativi miseri in tema di concorrenza e protezione del cliente o in balia di politiche monetarie scellerate. L’inclusione finanziaria intende diirigersi anche a loro, e il cerchio si allarga.
Si stanno sperimentando nuovi modelli per erogare servizi finanziari in questi mercati, con l’obiettivo di aquisire piú efficienza e arrivare al piú povero o al piú remoto. Negli ultimi 10 anni la microfinanza é emersa anche grazie alla forte presenza della tecnologia e di nuovi canali di distribuzione. I servizi finanziari digitali hanno consentito di abbattere barriere prima insormontabili per gli eccessivi costi operativi, e gradualmente di offrire servizi finanziari attraverso piattaforme che convertono denaro in moneta digitale (e viceversa) direttamente sul tuo telefono. E ancora, per rendere accessibile il credito alle famiglie piú povere si sono studiate metodologie che si fondano sulla solidarietá creditizia di gruppi persone e comunitá, cosí come sistemi di trasferimento interni dove prestiti individuali con strutture di costo piú leggere sussidiano /co-finanziano prestiti di banca “comunale” meno sostenibili, giacché caratterizzati da ammontari piú contenuti.
Secondo l’ultima indagine realizzata dal fondo d’investimento per lo sviluppo responsAbiliy, nel 2017 il mercato globale della microfinanza (e delle microimprese) crescerá in media del 10-15%, con picchi del 30% attesi in Sud-est asiatico e confermando l’America Latina come il mercato piú maturo. Oltre l’80% degli esperti intervistati vedono i mercati microfinanziari tutt’altro che saturi, ma con un enorme potenziale ancora da sfruttare. Nel breve termine la grande maggioranza é convinta che il mercato vivrá un sostanziale consolidamento e che avrá un ruolo primario nell’innalzamento degli standard di vita. D’altronde le microimprese altro non sono che quel famoso mare su cui insieme navigano tutte le barche, piroghe e yatch compresi, vero pilastro dello sviluppo economico di qualsiasi nazione.
In tutta semplicitá, la soluzione proposta della microfinanza é giá qui, alla portata di tutti, e non vuole escludere nessuno.