Come Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ci sembra necessario prendere parola sul quadro che emerge dalla pubblicazione del Blue Book 2017, studio sul sistema idrico italiano promosso da Utilitalia, in quanto, a nostro avviso mistificatorio della realtà.
Infatti, se da una parte l’analisi dello stato dell’arte risulta condivisibile, ovvero bassi investimenti, reti vecchie con dispersione elevatissima e ritardi nella depurazione, descrivendo così un sistema gravemente malato, è la cura prospettata ad essere peggio della malattia.
Sul tema degli investimenti e tariffa va ricordato che il finanziamento del servizio idrico integrato ha dimostrato il suo fallimento dal momento in cui al principio del “full cost recovery”, ossia il costo totale del servizio deve essere interamente coperto dalla tariffa, si è associato l’affidamento a soggetti privati. I dati in tal senso parlano chiaro: a partire dalla prima metà degli anni novanta, periodo in cui si attua la “grande trasformazione” dalle gestioni delle aziende municipalizzate al nuovo assetto fondato sulla gestione da parte delle società di capitali, tra l’altro periodo in cui tramonta il ruolo della finanza e dell’intervento pubblico, gli investimenti nel settore idrico sono crollati, toccando punte di oltre il 70%, flettendo da circa 2 mld di euro a circa 600 milioni annui, per poi risalire ma mantenendo sempre un abbassamento di circa il 50%.
Sulle tariffe idriche tutti gli studi sono corcordi nell’indicare aumenti assai consistenti, tra i più rilevanti nel panorama europeo e tra i più elevati rispetto agli altri servizi pubblici locali: + 100 % tra il 2000 e il 2016 (dati Federconsumatori Ottobre 2016); + 61,4 % tra il 2007 e il 2015 (dati Dossier Cittadinanzattiva 2016); + 85,2 % tra il 2004 e il 2014 a fronte di un incremento dell’inflazione nello stesso periodo che in Italia è stato del 23,1 % (dati CGIA di Mestre Luglio 2014). Ciò sta provocando un aggravio sulla spesa delle famiglie che è giunto al limite della sostenibilità economica soprattutto per quelle fasce della popolazione fortemente toccate dalla crisi.
Di fronte a questi dati eloquenti allora la soluzione non può essere ancora una volta quella dell’ulteriore rilancio della politica tariffaria del “full cost recovery”, così come suggerito nel Blue Book 2017, e neanche quella di incentivare i processi di aggregazione visto che negli anni in cui si è andata generando e approfondendo questa crisi del sistema idrico la maggior parte della popolazione italiana è stata servita dalle grandi multiutilities quotate in borsa – Acea, Hera, A2A e Iren – aziende ora prese a modello e individuate come poli aggregativi verso i quali far confluire tutti i soggetti gestori medio piccoli ad oggi esistenti, comprese le gestioni in economia che servono oltre 10 mln di persone.
Ecco che la cura diviene peggio della malattia.
Infatti, è proprio la scelta, insita nel sistema, di mettere in capo ai soggetti gestori di natura privatistica la responsabilità dell’effettuazione degli investimenti che determina, stante il loro obiettivo di massimizzazione dei profitti, un’oggettiva subordinazione della decisione di investimento a quella priorità.
Può apparire paradossale ma il fallimento del “full cost recovery” fino a qualche anno fa sembrava essere condiviso anche da Federutility (oggi divenuta Utilitalia) che in un documento del Maggio 2010 “Investimenti nel settore idrico: superamento del gap infrastrutturale e contributo per uscire dalla crisi” era costretta a riconoscere che “l’ingente fabbisogno finanziario di cui necessita il sistema non può far carico unicamente alla leva tariffaria in quanto incapace di generare in tempi brevi le risorse per fare fronte al debito”.
Cosa oggi le abbia fatto cambiare radicalmente idea risulta incomprensibile visto che i dati rimangono inalterati.
A nostro avviso non si sfugge al fatto che, per avviare un ciclo di investimenti significativo con l’obiettivo di realizzare l’ammodernamento del servizio idrico, occorre progettare un nuovo sistema di finanziamento, che superi il meccanismo del “full cost recovery” e che sia invece basato sul ruolo fondamentale, oltre che della leva tariffaria, della finanza pubblica e della fiscalità generale.
Quello che noi proponiamo è un piano straordinario di investimenti nel settore idrico che non può che passare sia dalla ridefinizione del meccanismo tariffario che dalla messa a disposizione di nuove risorse pubbliche, ovvero il servizio idrico deve tornare ad essere una delle priorità nel bilancio statale. E che, dunque, non può essere concepito se non dentro ad un quadro di nuova gestione pubblica del servizio.
La sua finalità prioritaria è quella di dare certezze e produrre un’accelerazione degli investimenti previsti e di indirizzarli prevalentemente verso la ristrutturazione della rete idrica, con l’obiettivo di ridurre strutturalmente le perdite di rete, e verso le nuove opere, in particolare del sistema di depurazione e di fognatura.
Un piano straordinario di investimenti che potrebbe produrre anche un incremento di centinaia di migliaia di posti di lavoro nei prossimi anni, svolgendo un’utile funzione anticiclica rispetto alla crisi stessa.
In ultimo, ci sembra necessario stigmatizzare il fatto che su alcuni organi di stampa i referendum del 2011 siano individuati come uno degli elementi responsabili del disastro in cui versa il sistema idrico italiano.
In realtà, è vero l’esatto opposto. Se l’esito referendario fosse stato applicato e non disatteso, si sarebbe potuta invertire la rotta rispetto ad una deriva che ha prodotto la massimizzazzione dei profitti per i gestori, un disastro sulla qualità del servizio reso agli utenti e devastazioni ambientali a causa dell’inadeguata depurazione.
In poche parole, gli effetti della mercificazione di un bene comune.
Roma, 1 Febbraio 2017.
Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua