Il 10 febbraio il governo Gentiloni ha approvato un decreto legge che tra le altre cose sopprime un grado di giudizio per il riconoscimento della protezione internazionale. “Bisogna fare presto”, ha spiegato il Ministro della Giustizia. Anche a costo di contraddire principi costituzionali.
Al dichiarato fine di “ridurre i tempi” delle decisioni sulle richieste di protezione internazionale dei profughi – sono state 123mila quelle presentate nel 2016 – il Consiglio dei ministri dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni il 10 febbraio ha approvato un decreto legge presentato dai titolari dell’Interno, Marco Minniti e della Giustizia, Andrea Orlando. Il contenuto non è stato ancora pubblicato, ma le parole del ministro Orlando – che si è preso sette minuti in conferenza stampa per illustrarne il merito – tracciano un quadro che è già possibile commentare. E che Gianfranco Schiavone, vice presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati Onlus di Trieste, non esita a definire per certi aspetti una “proposta irricevibile”.
Sotto al titolo -“Disposizioni urgenti per l’accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale”- Schiavone individua infatti “la tentazione irresistibile che ha attraversato tutte le maggioranze politiche che negli ultimi vent’anni hanno prodotto leggi in materia di immigrazione”: si tratta di un “diritto speciale”, cioè binari preferenziali costruiti ad hoc per i migranti (detenzione amministrativa, ad esempio), in questo caso per i richiedenti asilo. L’eccezione riguarda le procedure da affrontare per vedersi riconosciuto un diritto soggettivo fondamentale com’è quello della protezione per sfuggire a persecuzioni o torture.
Il governo ha annunciato di voler intervenire su più fronti. “Presso i tribunali di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia – ha spiegato Orlando – sono istituite 14 sezioni specializzate in materia di immigrazione”. Tra gli ambiti di competenza anche quello del “riconoscimento della protezione internazionale”. “È chiaro che si potrebbe vedere questa specializzazione come un aspetto positivo -riflette Schiavone. Ci troviamo oggi evidentemente di fronte a un problema di formazione dei magistrati, talvolta con scarsissima conoscenza di una materia complicata, recente e in continua evoluzione. Però siamo dinanzi a un fenomeno enorme e complesso che deve investire tutta la magistratura, non una parte. È strategicamente poco assennato pensare di voler mantenere una competenza territoriale così ridotta, andando a creare due problemi: un enorme ingolfamento per le 14 sezioni specializzate e l’allontanamento della giurisdizione dalle persone interessate. Pensiamo al richiedente che vive a Udine e che dovrà andare a Venezia”.
Un principio giusto mal tradotto? “Un conto è la giusta specializzazione e formazione – replica Schiavone – un altro è confinare a una sezione specializzata un campo del diritto che non è affatto residuale, ma ha a che fare con la vita presente e futura della società”.
L’architrave del provvedimento licenziato dal governo per “necessità e urgenza” è la soppressione del grado d’appello per il richiedente asilo. Il ministro Orlando ha sostenuto che così non si “indebolirà” affatto la garanzia di un “giusto processo” per il migrante, tenuto conto che il primo colloquio presso la Commissione territoriale sarà in sostanza trasformato da procedura amministrativa in una “giurisdizionale”.
“È una tesi debole per diversi motivi – ragiona Schiavone. Prima di tutto, questo ‘taglio’ di un grado di giudizio in materia di diritti soggettivi è un’anomalia tutta speciale. In altri campi nessuno ha mai messo in discussione il tema dei due livelli di giudizio di merito prima di quello di legittimità della Cassazione. Ma solo nel caso dei richiedenti asilo il principio viene meno, nonostante si tratti di un diritto soggettivo fondamentale, costituzionalmente tutelato, con un rischio gravissimo di persecuzione o tortura per la persona nel caso di errori”.
Tra le novità è poi previsto che nel “passaggio” in Tribunale, l’udienza “orale” del richiedente venga limitata a pochi casi. E che prima il giudice debba visionare la videoregistrazione del colloquio avvenuto in Commissione. “Questo è il punto che mi sembra quasi incredibile – afferma Schiavone. Di fatto è stato immaginato che l’udienza di primo grado (già il secondo, stando al ministro, ndr) venga fissata dopo la visione della videoregistrazione in camera di consiglio. Non riesco a capire come sia compatibile tutto questo con il principio del contraddittorio sancito all’articolo 111 della nostra Costituzione; il giudice potrà di fatto decidere senza nemmeno vedere la persona, senza fare domande, che è invece il principio basilare del nostro ordinamento giuridico ed è fondamento della direttiva europea sulle procedure, che parla proprio di un esame della credibilità della persona, dei fatti e delle circostanze che deve essere fatto sia in sede amministrativa sia in sede giurisdizionale”.
Anche in questo, una buona idea – la videoregistrazione del colloquio del richiedente – è calata malamente. “Assolutamente sì. È ottima l’idea della videoregistrazione, soprattutto per poterla avere come elemento di valutazione dell’andamento del colloquio, a garanzia di un alto livello di controllo dell’operato della commissione, valutando eventuali atteggiamenti di insofferenza durante le audizioni, magari condotte con un’ostilità preconcetta che da un verbale non si evincerebbe. Ma tutto questo non può giustificare il fatto che la visione di una videocassetta sia sufficiente per una valutazione di merito”.
Peraltro, in quello che il Ministro della Giustizia ha definito “idealmente” il nuovo “primo grado”, è bene ricordare che il migrante si reca il più delle volte da solo, senza un legale di sua fiducia, che comunque sarebbe a suo carico o della struttura che l’ha preso in “gestione”.
Ma “necessità e urgenza” del governo non permettono esitazioni. Da qui la scelta di un decreto legge, che ancora una volta scavalca in una prima e delicatissima fase la discussione parlamentare. È la cifra del “diritto speciale” sull’immigrazione degli ultimi vent’anni. Che ha prodotto, come spiega Schiavone, “la tendenza degli esecutivi a spacchettare, quasi a vivisezionare il tema, con un sovrapporsi di norme che al legislatore ‘vero’ toglie completamente una visione di insieme. Ormai arrivano pezzi di normative che sono quasi frattaglie. E su uno degli aspetti centrali della vita collettiva della nostra società, il potere legislativo non esercita nei fatti quasi più alcuna funzione”.