Il decreto legge 13/2017 costituisce un’occasione mancata. Invece di mettere mano con un organico disegno di legge al Testo Unico in materia di immigrazione, si è fatto ricorso alla legislazione d’urgenza (ma alcune disposizioni si applicano addirittura decorsi 180 giorni dall’emanazione del decreto) per compiere scelte che vanno nella direzione di un oggettivo allontanamento dal Giudice del cittadino straniero.
In questa senso vanno la limitazione del contraddittorio attraverso l’uso delle videoregistrazioni dell’audizione del richiedente – non accompagnata dalla comparizione delle parti e di un mediatore linguistico-culturale – e la riduzione delle garanzie processuali attraverso l’eliminazione dell’appello. Altre norme, quali la previsione di sole 14 sezioni specializzate, determinano ulteriormente l’oggettivo allontanamento del cittadino straniero dal Giudice.
Criticabile, poi, la decisione di accentuare gli strumenti di rimpatrio forzoso e di non fornire alcuna disciplina alla fase di prima accoglienza e identificazione dei migranti nei cosiddetti “punti di crisi” (hotspot), nonostante la recente condanna della Grande Camera della Corte EDU nel caso Khlaifia c. Italia.
Il complessivo contenuto del decreto legge, nel limitare oggettivamente l’accesso alla giurisdizione da parte dei migranti e nel rafforzare il ruolo della gestione amministrativa delle procedure in cui si evidenziano delicatissimi profili di tutela delle libertà individuali, ripropone forme di diritto speciale per gli stranieri, in materie che riguardano i principi fondamentali di pari dignità e uguaglianza di tutte le persone.
Per tali ragioni si auspica che in sede parlamentare si tenga conto delle gravi criticità evidenziate per pervenire ad una riforma complessiva della protezione internazionale e del testo unico sull’immigrazione, che ne elimini gli aspetti di maggiore iniquità e inefficacia.
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