Notizie recenti hanno riportato l’attenzione sui Balcani Occidentali, nello specifico la ex Jugoslavia, e, per il carattere degli eventi che si sono susseguiti, sulle possibilità della “riconciliazione” e sulla praticabilità di un itinerario di “rigenerazione”, in senso condiviso, delle memorie e di ricostruzione, in senso positivo, delle narrazioni storiche. Sia alla luce degli eventi dal sapore negativo che, rinfocolando tensione e riaprendo ferite, accendono l’interrogativo intorno alle eredità del conflitto e al perdurare del post-conflitto, a ciò che “non ha funzionato” nelle costruzioni post-belliche e ciò che invece sarebbe necessario intraprendere, per superare le scorie del conflitto etno-politico e delle narrazioni divisive; sia in forza degli eventi di carattere positivo, che riaprono alla speranza in un futuro di benessere e di convivenza ed alludono a occasioni produttive di coesistenza e di pace.

 

Non è un caso che una quantità di questi eventi abbia coinvolto la Serbia, tra i Paesi ex-jugoslavi quello, con la Bosnia, più strutturalmente plurale nella sua composizione socio-culturale, oggi alle prese con sfide in cui precipitano retaggi del passato e approcci di futuro, la perdurante controversia con l’auto-governo kosovaro, nel momento in cui il dialogo con le autorità albanesi-kosovare diventa cruciale ai fini dell’adesione alla UE, e l’apertura di nuovi capitoli negoziali che indicano la prospettiva della membership comunitaria, in uno dei momenti, peraltro, di minore appeal che l’ideale europeo e la comunità europea abbiano mai conosciuto. Per il resto, da queste parti, la realtà dei fatti finisce, di quando in quando, per superare anche la più fervida immaginazione: come nella circostanza di quanto sta accadendo lungo il confine amministrativo tra Serbia Centrale e Kosovo.

 

Annunciata per il 20 gennaio, ma ancora una volta rinviata, è in corso la riapertura al traffico del Ponte Centrale di Mitrovica (Kosovska Mitrovica, in lingua serba, Mitrovicë, in lingua albanese), la città più grande del Kosovo Settentrionale, la più importante tra quelle abitate dai Serbi del Kosovo ma, al tempo stesso, città divisa, tra il Nord a maggioranza serba ed il Sud a maggioranza albanese, assurta di conseguenza a “simbolo” della divisione e del post-conflitto del Kosovo. Condivisa, sin dal 2015, tra le autorità serbe e quelle albanesi-kosovare, nel corso del dialogo mediato a Bruxelles, la riapertura del ponte è una delle conseguenze dei lavori di risistemazione e, nelle intenzioni del dialogo, dovrebbe costituire un presupposto per la ripresa dei contatti tra i due settori, e, quindi, per il rilancio della convivenza. Una convivenza resa difficile, non da oggi, non solo dalle resistenze di settori nazionalisti, ma anche dalla persistenza di frange estremistiche, talvolta responsabili di provocazioni e intimidazioni, oggi soprattutto ai danni delle minoranze e in particolare dei serbi.

 

Nel mentre i lavori si avviano a conclusione, e si diffonde l’auspicio per nuove occasioni di scambio tra le due parti, la “guerra dei simboli”, che tanta parte gioca nell’immaginario della separazione etno-politica  e nelle rivendicazioni di appartenenza identitaria, riprende fiato: da una parte, poco distante dal ponte che dovrebbe essere riaperto, la costruzione di un muro, sul settore settentrionale della città, ufficialmente per consentire la risistemazione urbanistica del settore a Nord ma, in pratica, per prevenire, una volta che il passaggio sul ponte sarà libero, possibili provocazioni da parte di estremisti ai danni della minoranza serba; dall’altra, ancora verso Mitrovica, l’arrivo di un treno, che, aggiungendosi alla tratta ordinaria che congiunge, ogni giorno, Kraljevo, nella Serbia Centrale, a Mitrovica, partendo da Belgrado, il 14 gennaio, ha provato a raggiungere il Kosovo.

 

Il treno avrebbe dovuto ripristinare un collegamento su ferro tra Belgrado e Mitrovica fermo da 18 anni, ma ha finito con il rendere ancora più largo quel confine amministrativo, degenerando in una prova di forza che ha fatto nuovamente salire la tensione tra le due parti. Dipinto dei colori della bandiera serba, recante simboli della tradizione cristiana del Kosovo e attraversato, per tutta la sua lunghezza, dalla scritta, in più lingue, «Il Kosovo è Serbia», il passaggio del treno, che ha dovuto fermare la sua corsa a Raška e fare arrivare i passeggeri a Mitrovica in bus, è stato a sua volta minacciato dalle autorità albanesi-kosovare, che non hanno esitato a dispiegare forze speciali nel Kosovo del Nord, con una prova di forza pericolosa, minacciosa di una vera e propria escalation.

 

Sarebbe ridondante insistere sul significato simbolico che, ancora una volta, si associa a tali vettori di immaginari: un ponte, un muro, un treno. Domani, 24 gennaio, un nuovo incontro a Bruxelles segnerà una nuova tappa nel confronto tra le parti. Superata dalla realtà, non per questo è necessario fermare l’immaginazione: immaginare e cimentarsi in un Kosovo di tutte e tutti, finalmente in pace.