Milagro Sala ancora agli arresti nell’Argentina che fa i conti con la povertà, l’inflazione e i licenziamenti di massa.
Circa un anno fa pubblicavo sul mio blog quel che avevo capito della storia di Milagro Sala, la donna che ha diviso l’Argentina. Avevo sentito per caso la notizia di un’indigena che nel nord dell’Argentina era stata imprigionata dopo una protesta. Un caso di carcerazione preventiva senza chiare e circostanziate accuse, proprio mentre stavo seguendo il cambiamento politico che in Argentina era occorso dopo l’era della Kirchner. Kristina, la ex Presidente oggi a capo dell’opposizione politica, aveva infatti da poco terminato il suo mandato presidenziale, lasciando il testimone a Cambiemos, la coalizione politica che ha portato a vincere Mauricio Macri, oggi Presidente dell’Argentina.
Di lui imparammo a conoscere molto sin dal suo debutto, sul balcone della Casa Rosada, sede del Governo.
La notizia di Milagro imprigionata apparve qui da noi al pari di una meteora, tanto che attraverso i canali tradizionali non riuscii più a saperne nulla. Era scomparsa, ma non la sua pena, e non lo è nemmeno oggi. Milagro è ancora agli arresti, come ha decretato recentemente il tribunale che l’ha condannata, il 28 dicembre scorso. A nulla sono valse le manifestazioni di sostegno, puntualmente oscurate, o le richieste autorevoli che provengono da tutto il mondo per la sua scarcerazione, compresa quella più recente e autorevole che arriva dal gruppo di lavoro dell’ONU sulle Detenzioni Arbitrarie.
Al contrario in tutto il paese si è dato il via a una campagna di denigrazione continua e strutturata della Tupac Amaru, dei suoi militanti e di Milagro Sala. La loro vera colpa? L’opposizione a Morales, Governatore di Jujuy e forte alleato di Macri e delle sue politiche.
Se pensate che la campagna denigratoria, la violenza, la repressione e la cancellazione delle sovvenzioni per quella gente abbia fiaccato Milagro, vi sbagliate. Prima della lettura della sentenza, il 28 dicembre scorso, Milagro prende la parola e rilascia una dichiarazione. I giudici della Corte non hanno davanti agli occhi una donna fragile e spaventata, né tanto meno fiaccata dalla prigionia. Hanno di fronte un’indigena (una negra, come sosterrà lei stessa) che non parla il castigliano con la loro stessa precisione ed eleganza ma che ciò nonostante si fa capire benissimo. Perché è la forza della sua visione e della sua convinzione che parla. Giudicate voi stessi.
Se anche non conoscete il castigliano, sono certa che avrete colto il senso più profondo di questo messaggio. Tuttavia, proprio per l’importanza e la semplicità con cui è pronunciato, ho deciso di trascrivere queste parole, traducendole in maniera non precisissima e me ne scuso, e poi ho deciso di pronunciarle. Le ho fatte mie, vorrei che le facessimo nostre.
Nelle parole di Milagro c’è tutto il senso della lotta per l’emancipazione di quelle terre. E se i nostri occhi e le nostre orecchie sono ancora capaci di intercettare i suoni puliti, allora qualcosa di quello che ella ha affermato sarà senza dubbio arrivato fino a noi. Pochi minuti dopo questa dichiarazione, Milagro sarà condannata all’interdizione a pubblici uffici e alle cariche in associazioni per tre anni, durante i quali resterà agli arresti domiciliari con il divieto di partecipare a qualunque iniziativa politica o sociale. La Corte la condanna inoltre a prestare tre ore di servizio settimanali alla Caritas. Dalla lotta per l’autodeterminazione all’assistenza. Anche questa è sostanza politica.
La motivazione della sentenza tuttavia lascia sconcertati: organizzazione di manifestazioni di protesta e tumulti, in riferimento al fatto di aver organizzato 52 giorni di sit-in contro il neo Governatore Morales della Provincia di Jujuy a fine 2015, per protestare contro l’interruzione delle risorse utili al sostentamento delle comunità che la Tupac Amaru ha faticosamente tenuto insieme.
La condanna per minacce in effetti decade, ma resta la carcerazione preventiva perché, apprendiamo dai giornali locali e dalle dichiarazioni di Morales, si ritiene che Milagro abbia rubato. Sarebbe un fatto grave, anzi gravissimo, che come qualunque altra accusa va accertato, non presunto.
Sembra una coincidenza il fatto che il periodo di interdizione di 3 anni sia esattamente quello che serve al Governo di Macri e Morales per giungere alla fine del mandato. Ma chi crede ancora che in politica le coincidenze siano casuali?
La difesa naturalmente annuncia il ricorso in Cassazione. Tramite il suo avvocato fa sapere che “E’ difficile dare un giudizio su una sentenza pronunciata su un reato che non esiste nel nostro ordinamento. Faremo ricorso”.
E mentre la giustizia nel paese fa il suo corso, una proposta viene avanzata dai deputati che rispondono a Morales: una petizione per una legge che consenta il referendum popolare sulla condanna di Milagro. Un fatto che si commenta da sé.
Intanto l’Argentina soffre le politiche del macrismo
A gennaio sono ri-esplose le manifestazioni nel settore pubblico della scuola dopo le minacce di ulteriori licenziamenti. Macri rientra dalle sue ferie estive (nell’emisfero sud siamo in piena estate) e trova i sindacati in piazza.
Delle promesse della campagna elettorale improntata sulla “Rivoluzione allegra” e sull’obiettivo “Povertà zero” non resta più nulla, se non il sarcasmo, quando è possibile passare sopra i soprusi.
Avanzano invece la crescita dell’inflazione interna, della disoccupazione e della povertà. Licenziati massicciamente nel 2016 gli impiegati dell’amministrazione pubblica, 33.000 persone che hanno perso il posto di lavoro in particolare nel settore della sanità e della cultura, oggi sono i lavoratori della scuola a scendere in piazza dietro le minacce di ulteriori licenziamenti. Lo Stato che si disfa dell’apparato dello stato. Siamo in piena coerenza con le politiche neoliberiste.
La situazione economica non è affatto migliore. Il governo ha appena ritoccato il prezzo della benzina dell’8%, arrivando al costo di 1,3 dollari al litro, quasi come la pagheremmo in Europa. Ma da noi non c’è stata la forte svalutazione del peso, la moneta locale, a vantaggio del dollaro. Un segnale per la classe media argentina, abituata a risparmiare e consumare in dollari, ma non certo per la maggior parte della popolazione. C’è da aspettarsi che una scelta come questa abbia un ulteriore aggravio sullo stato dell’inflazione, le cui stime di inizio anno sono drammatiche.
Nel 2016 l’inflazione si è attestata al 40%, l’11% in più del 2015, mentre le previsioni per il 2017 sembrano eccessivamente ottimistiche, si parla di inflazione al 27%. Con quell’aumento della benzina cosa accadrà alle merci e alla produzione?
Un quotidiano porteño, Urgente 24, ha fornito recentemente un quadro dei prezzi vigenti nella Capitale Federale, Buenos Aires, un termometro per il paese.
Le tariffe per l’elettricità sono state incrementate del 417% all’anno, l’acqua più 300%, gas + 254%, e trasporto pubblico + 70%. Sono cifre impressionanti.
Persino les “Abuelas di Plaza de Mayo” denunciano di non avere più fondi dallo stato, in un paese in cui da pochi anni si è deciso di andare a fondo sulla dittatura di Videla, dei Colonnelli e sulle loro coperture. Una scelta compiuta da Kristina Kirchner, vediamo se sarà confermata o se anche questa politica del governo peronista sarà cancellata, come tutte le altre. Con buona pace della libertà, dell’autonomia e dell’autodeterminazione.
La riproduzione del modello neo liberista porterà al paese scenari già noti. Un paese lacerato da un passato ancora molto doloroso non tollererà a lungo il peso di una politica che assume la gente socialmente più fragile come una pedina sulla scacchiera, da mandare avanti con l’unico fine di proteggere il re.
Il quale rischia di finire sotto scacco, senza nemmeno accorgersene.