Con il nuovo anno, oltre a 500 euro per gli insegnanti e per i diciottenni, sono in arrivo anche 800 euro per le donne partorienti e 1.000 euro per la frequenza dell’asilo nido. Sono stanziamenti previsti dall’ultima legge di bilancio, che destina 600 milioni di euro per il 2017 al “pacchetto famiglia”. Finalmente un po’ più di attenzione alle famiglie, in particolare con contributi a sostegno della natalità – verrebbe da commentare. Se l’intenzione appare buona, non si può dire altrettanto per le modalità scelte per realizzare questo obiettivo. Infatti, stando a quanto dichiarato finora da esponenti del Governo, questi incentivi verranno concessi a tutti, cioè riguarderanno tutte le famiglie senza limiti di reddito.
Negli ultimi tre anni il Governo ha scelto di intervenire in materia fiscale utilizzando soprattutto “bonus” per alcune categorie di persone, anziché le classiche deduzioni e le detrazioni fiscali. Evidentemente da un punto di vista pubblicitario fa più effetto elargire contributi che diminuire le imposte. In questo modo, però, si è sacrificata l’equità.
Per esempio, una famiglia con due redditi da 24.000 euro annui ha diritto ad un doppio bonus di 960 euro, mentre una famiglia monoreddito con 26.000 euro non riceve alcun bonus, come nulla in più spetta ai pensionati anche con redditi bassi o a persone disoccupate o in cerca di lavoro.
Altro esempio è il cosiddetto “bonus bebé”, che prevede l’erogazione di 80 euro mensili per tre anni, ma soltanto alle famiglie con ISEE inferiore a 25.000 euro (il contributo raddoppia se l’ISEE è inferiore a 7.000 euro). Quando si pone un discrimine netto, anziché diversi livelli di riferimento, di fatto si interviene con l’accetta, senza la necessaria gradualità. Di conseguenza, non sembra giusto che ricevano lo stesso contributo famiglie con ISEE di 8.000 e 24.000 euro, come non pare corretto che vengano concessi o meno gli 80 euro se ci si trova appena sotto o sopra la fatidica soglia stabilita dei 25.000 euro ISEE.
Detto ciò, i successivi provvedimenti fiscali si sono rivelati ancora più ingiusti, in particolare i bonus di 500 euro annuali per la formazione degli insegnanti e per i diciottenni: in questi casi si tratta di “agevolazioni” senza riferimenti di reddito o di ISEE, valide soltanto per alcune categorie di persone. Nella stessa prospettiva si pongono i due nuovi bonus del 2017: il cosiddetto “mamma domani” (800 euro) per le donne in stato di gravidanza al settimo mese e il “buono nido” (1.000 euro per tre anni) per la frequenza ai nidi pubblici o privati.
Quest’ultimo provvedimento è il più discutibile, poiché da una parte vengono escluse le famiglie che non usufruiscono del servizio dei nidi (magari perché nella propria zona non esistono) e dall’altra perché chi usufruisce dei nidi pubblici, paga una retta che tiene già conto dell’ISEE. Non si capisce che senso possa avere distribuire a pioggia 1.000 euro a bambino/a, andando a sovrapporsi al criterio adottato per stabilire un equo contributo delle famiglie come compartecipazione al servizio del nido.
“Tutti i bambini sono uguali, per cui dal 1°gennaio non ci sarà nessuna discriminazione per reddito sul Bonus Nido”, ha commentato la deputata di Area Popolare Paola Binetti. Ma mettere sullo stesso piano figli di famiglie molto diverse è soltanto formalmente corretto. La scuola di Barbiana ci ha insegnato – una volta per tutte – che non c’è peggior ingiustizia di fare parti uguali tra diseguali.
Infatti, a ben vedere questi interventi senza distinzioni patrimoniali e limitazioni di reddito presentano evidenti profili di incostituzionalità, poiché in tendenziale contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della Carta fondamentale: il dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale, il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’uguaglianza dei cittadini ed il pieno sviluppo della persona umana e l’obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva utilizzando il criterio della progressività.
Intervenendo in Assemblea Costituente il 23 maggio 1947 il relatore per l’art. 53, Salvatore Scoca, affermò: “Se esaminiamo l’attuale nostra legislatura, accanto alle normali leggi di imposta ci sono eccezioni, troppe differenze di trattamento tra classi di cittadini ed altri classi, tra varie categorie di contribuenti, lesive del principio di uguaglianza e di solidarietà sociale presenti nella prima parte di Costituzione. Queste gravi mende della nostra legislazione vanno eliminate con una radicale riforma tributaria”.
Un solido ed equo sistema tributario si fonda sulla diversificazione e progressività delle aliquote fiscali, sulle deduzioni e detrazioni per le spese indispensabili e soprattutto sul riferimento alla reale capacità contributiva (come ad esempio l’ISEE). Da questo punto di vista la politica fiscale italiana – soprattutto negli ultimi tre anni – appare come una vera controriforma.