Sandrine Bakayoko è morta nel centro di prima accoglienza di Conetta, un’ex base militare in provincia di Venezia; Sandrine era una ragazza di 25 anni della Costa d’Avorio arrivata in Italia nel settembre del 2016, “ospitata” nel centro dove è venuta a mancare il 2 gennaio per una trombosi polmonare mentre attendeva l’esito della sua richiesta d’asilo.
Tanta confusione circonda la morte di Sandrine, con diverse versioni tra l’altro circa il ritardo nella richiesta di soccorsi da parte degli operatori del centro, che ospita oggi 1.300 persone, quasi 800 in più rispetto alle 530 previste.
Non c’è dubbio però che la gestione di questa e di altre strutture costituisca l’ennesima occasione per speculare sulla vita delle persone: la cooperativa Ecofficina Edeco di Padova, leader nel settore dell’accoglienza in Veneto, è stata infatti ultimamente colpita da tre inchieste per truffa, falso e maltrattamenti: scarsa qualità del cibo distribuito, angherie, soprusi e nessun corso di alfabetizzazione per i migranti.
La morte di Sandrine ha immediatamente scatenato la protesta dei migranti del centro di Conetta, ma non si trattava di una prima volta, né erano mancate in precedenza le notizie sulle condizioni della struttura: un ospite del centro ad esempio denunciava da tempo su Facebook le condizioni di vita disumane del campo, circondato da filo spinato, con dormitori in tensostrutture temporanee in cui venivano ammassate le brande per dormire; una delegazione della campagna LasciateCIEntrare aveva visitato il centro e così lo aveva descritto: “Non ci sono servizi né spazi sociali, una tendopoli nel nulla; alle tende si alternano casolari con letti a castello in stanze stracolme”.
Negli ultimi tempi purtroppo numerose testimonianze hanno tracciato un quadro agghiacciante dell’accoglienza in Italia, tra cui citiamo ad esempio il dossier del Naga sull’accoglienza a Milano, le incessanti denunce di LasciateCIEntrare, il rapporto di Amnesty International sui maltrattamenti negli hotspot in Italia. Non ultimo, il dossier di People Before Borders sulle condizioni di vita nel “campo” di Bresso, alle porte di Milano, nel quale almeno 500 persone vivono senza acqua calda nelle docce e servizi di lavanderia, dormendo in parte sotto le tende: una situazione, come si vede, non così dissimile da quella del centro di Conetta e sulla quale un mese e mezzo dopo la manifestazione alla quale anche noi abbiamo partecipato ancora si attendono risposte dal Prefetto di Milano.
Tutto questo ci parla di un sistema di accoglienza dominato dalla logica emergenziale, che tratta i richiedenti asilo come semplici numeri negando loro diritti e dignità, a partire dalle condizioni materiali di vita fino all’impossibilità di autogestirsi; le prefetture e i vertici del Ministero dell’Interno favoriscono di fatto in questo modo le speculazioni a scapito della qualità dei servizi, chiudendo gli occhi di fronte ai soprusi e alle violenze che purtroppo caratterizzano il cosiddetto “sistema di accoglienza”.
Sandrine è morta in una delle strutture della “accoglienza all’italiana”, come meno di un mese fa nel centro di via Fratelli Zoja a Milano era morto Antonio; due morti misteriose, piene di non detti, di caos e di amaro in bocca; non sappiamo né sapremo mai perché Antonio abbia deciso di togliersi la vita e non sappiamo né sapremo perché Sandrine è morta in un bagno nel centro di Conetta.
Sappiamo però che ogni giorno le vite di migliaia di persone si spengono in mare o sotto un camion, sappiamo che sono costrette a subire soprusi e violenze di ogni tipo, sappiamo che se non interviene un profondo cambio di rotta nelle politiche dell’immigrazione il loro destino è di essere sfruttate a vita; sappiamo che un sistema di accoglienza in realtà non esiste e che c’è bisogno di garantire diritti e dignità a tutte e a tutti, indipendentemente dalla loro provenienza e dal colore della loro pelle.
Comitato Zona 8 solidale – Milano