«Sono nato il 7 novembre 1980 a Tarkint, un piccolo accampamento nomade a 200 Km dalla città di Gao. Sono nato sotto le stelle, perché non c’erano centri sanitari. La mia è una famiglia di allevatori nomadi, ci occupavamo dei nostri animali spostandoci di pascolo in pascolo. Sono targui, del gruppo Chamanamass, una tribù guerriera che gioca un ruolo strategico all’interno dei Tuareg. Ho conosciuto le grandi ribellioni che opponevano il popolo Tuareg del Nord al governo maliano. Il popolo tuareg aspira a vivere dignitosamente e in libertà, nel rispetto dei suoi valori ma è stato oppresso per molto tempo dai diversi governi del Mali dall’indipendenza ad oggi. Comprendo la lotta Tuareg, ma resto convinto che questa debba passare attraverso l’educazione dei figli, per rafforzare le generazioni future».
Ousmane Ag Hamatou lavora con l’ong LVIA dal 2008 a Gao, nel nord del Mali, una “zona di frontiera” dove si aprono le porte del Sahara. È un Tuareg ed ha scelto di percorrere il cammino dei diritti con la costruzione di percorsi di pace e sviluppo.
Nel 2012, il conflitto scoppiato con le rivolte tuareg e la conseguente occupazione jihadista, ha costretto Ousmane a fuggire dal paese con la sua famiglia, per essere ospitato da LVIA nel confinante Burkina Faso, a Ouagadougou. Ousmane è tornato a Gao a fine giugno 2013 e continua ad operare con LVIA nell’area.
«Ho sempre sognato di aiutare le persone e soprattutto il popolo Tuareg, cercando di mettere a profitto il fatto che sono uno dei pochi nella mia famiglia ad essere andato a scuola – continua Ousmane. – Vorrei dare un esempio e dimostrare alle generazioni future che si può continuare la lotta per il nostro sviluppo in modo diverso dall’uso delle armi. La mia scelta di lavorare nella cooperazione è la conseguenza di questo sogno. Sono rientrato a Gao a luglio 2013, dopo l’intervento delle forze francesi e la fuga degli islamisti dalla città. Ho riavviato le attività di LVIA nel centro e nord Mali con un nuovo finanziamento di ECHO per una risposta all’emergenza causata dalla mancanza di acqua potabile e le attività continuano oggi con un finanziamento del Ministero degli Affari Esteri Italiano, per il sostegno alle persone sfollate che, fuggite dal nord Mali a causa della guerra, stanno rientrando nel paese».
Le crisi e le ribellioni, ma anche le condizioni di vita, fanno del nord Mali una zona molto difficile e la situazione di sicurezza resta critica.
A Bamako da un anno e mezzo, Michela Bordin, volontaria di LVIA e CISV in Mali, racconta: «La situazione di Mopti sembra agitarsi, con frequenti attacchi alle forze ONU del MINUSMA e alle forze dell’esercito maliano, ma anche con violenze e rapine ai civili. Contemporaneamente, la situazione al Nord resta incerta. L’accordo di pace firmato ad Algeri nel giugno del 2015 tra il governo del Mali, il Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) e la Piattaforma dei movimenti di autodifesa stenta a procedere: per la lentezza delle operazioni, perché ci sono degli attori esclusi e perché ci sono gruppi che non vogliono la pace per poter portare avanti i loro traffici di armi, droga, uomini».
Nel centro del Mali il teatro si complica con l’affermarsi nel 2016 del Fronte di Liberazione del Macina, che riunisce l’etnia Peul e che si è alleata al gruppo fondamentalista islamico “Ansar Dine”, una delle principali organizzazioni che hanno preso parte al conflitto del 2012. Molti evocano il conflitto intercomunitario per l’accesso alle risorse naturali tra Peuls, nomadi e allevatori, e Bambara, agricoltori e sedentari, come un ulteriore fattore di instabilità dell’area.
La situazione di povertà e vulnerabilità del nord Mali complica le cose. Il cambiamento climatico fa avanzare il deserto, le siccità peggiorano il rendimento agricolo e il bestiame stenta a sopravvivere. Il turismo, interessato ai fermenti artistici e ai siti culturali di Djenné, Mopti, Segou… dal 2012 è scomparso. Una cultura che i maliani hanno cercato di preservare, a fronte della distruzione di biblioteche, cattedrali di terra rossa e monumenti come i mausolei di Timbouctou da parte dei movimenti jihadisti.
«In questo contesto AQMI, gruppo affiliato a Al Quaida, propone un risarcimento alle famiglie che inviano giovani ad addestrarsi nei campi jihadisti. – Continua Michela Bordin. – Arruolarsi in un gruppo armato è una fonte di reddito per tutta la grande famiglia ed una protezione che lo Stato centrale non può garantire».
In questo nuovo e complesso teatro lavorano le equipe delle ong italiane CISV ed LVIA per, come ha sottolineato Ousmane, promuovere lo sviluppo locale nell’ottica di favorire una cultura della pace.
LVIA quest’anno compie 50 anni, una storia di cooperazione e solidarietà con il resto del mondo e di prossimità con le popolazioni come avviene, nonostante la crisi in corso, nel nord Mali. Ezio Elia, Presidente LVIA ricorda: «In questi 50 anni l’idea da cui è nata LVIA e il sogno che ha animato i primi volontari sono sempre vivi e si sono rinnovati ad ogni sfida che i tempi e i paesi in cui operiamo ci hanno posto. Anche adesso il mutevole e drammatico contesto mondiale continua ad interpellarci e la LVIA risponde ribadendo che “#tuttipossiamofarequalcosa!” abbiamo la necessità di un rinnovato approccio culturale come risposta del territorio alle sfide locali e globali. Una risposta che si sviluppi non in termini di “chiusure” o, al contrario, di “beneficenza” ma in un’ottica di “relazione” e “reciprocità” con il resto del mondo. Affrontiamo il futuro con grinta e speranza, forti del sostegno di tanti amici e compagni di strada, fedeli alla missione associativa intorno alla quale siamo riuniti».
Lia Curcio