Qualcosa di profondamente umano, nel senso più alto del termine, permette ancora di concepire la politica nel suo significato più nobile, quello che invece, sempre più, viene a dissolversi in “politicantesimo” di infimo ordine.
Ma c’è anche qualcosa di profondamente e nobilmente politico in un certo agire umano mosso da pura empatia, che non rivendica lustrini e riflettori e che, pur nel suo essere squisitamente umanitario manda un messaggio forte di denuncia delle ingiustizie e una chiamata ad esserci, a conoscere le situazioni di sopruso ed a schierarsi contro.
E’ sottile il confine tra carità e solidarietà umana, così come lo è tra l’impegno volontario per coprire spazi liberi della propria interiorità e l’impegno volontario per una chiamata interiore che ti chiede di agire come fossi tu l’oggetto dell’ingiustizia subita da altri.
Senza svalorizzare nessuno dei due aspetti, io mi trovo da questa parte del confine, quello, cioè, della solidarietà umana che mi fa sentire il dolore altrui come mio e che mi porta ad un agire politico attraverso la forma umanitaria. E’ per questo che avendo conosciuto in Italia – e poi visto all’opera nella Striscia di Gaza – il PCRF (Palestinian Children’s Relief Fund) trovo importante far conoscere il lavoro di questa équipe medica che a proprie spese e con l’incredibile entusiasmo di chi va a una grande festa, svolge brevi e continue missioni per operare il cuore di bambini destinati altrimenti a morire a causa di un’ingiustizia che il mondo copre vergognosamente: l’assedio di Gaza da parte di Israele.
Assedio attenzione, non embargo o blocco economico, quello semmai ne è la conseguenza. Assedio, ovvero crimine contro l’umanità più volte condannato dalle stesse Nazioni Unite, usando il termine esatto e non un suo surrogato narcotizzante, in particolare nella Risoluzione n. 1860/ 2009 in cui l’Onu non solo richiede “alla potenza occupante, Israele, di rimuovere l’assedio e aprire tutte le frontiere…” ma “fa appello alla Comunità internazionale a sostenere la (sua) iniziativa…”.
Ma le dichiarazioni del massimo organo della legalità internazionale non hanno impedito, né impediscono, a tanti governi cosiddetti democratici tra cui quello italiano, di sostenere Israele il quale, pertanto, mantiene impunemente l’assedio e consente, o proibisce, in totale arbitrio l’uscita da Gaza, lasciando morire chi potrebbe curarsi soltanto all’estero.
Ecco quindi che la campagna di cardiochirurgia “Beating Hearts for Healing Hearts” che parte in questi giorni a Ramallah per poi raggiungere la Striscia di Gaza e curare centinaia di bambini affetti da gravi cardiopatie di diversa natura, si configura proprio come una di quelle azioni che è giusto far conoscere affinché la si aiuti nel suo intento umanitario e, al tempo stesso, collateralmente, sia di denuncia della grave situazione di cui si fanno complici i governi compiacenti verso Israele.
I medici del PCRF-Italia che vanno ad operare non sono soltanto professionisti italiani di Massa, Pisa, Padova e Cagliari, ma anche palestinesi che sono riusciti a specializzarsi all’estero e che ora tornano per mettere le proprie competenze a servizio dei bambini della loro terra occupata o assediata, come la dottoressa Vivian Bader che guiderà la missione accanto al dottor Vincenzo Stefano Luisi o come il dottor Mamod incontrato qualche mese fa al Gaza Hospital di Khan Younis il quale, rispondendo a un’intervista, disse che la sua massima aspirazione era il “non dover più mandare i pazienti fuori Gaza per mancanza di strutture o di personale specializzato e, soprattutto, non doverli più veder morire per il divieto di uscire e l’impossibilità di curarsi”.
Queste le parole di un medico, non di un attivista. Esse sono la conferma che l’assedio è sempre lì, presente anche nel pensiero oltre che nella realtà e che solo imperdonabile ignoranza, o malafede, o ignobile complicità mediatica, oltre che istituzionale, ne nega l’esistenza e ne sottovaluta le criminali conseguenze.
Mentre diciamo buona fortuna a tutti i volontari del PCRF affinché possano entrare ed operare a Gaza e buona fortuna a tutti i bambini che li stanno aspettando per non morire, da operatori mediatici liberi quali siamo, diciamo anche buona fortuna all’accidentato cammino della giustizia che sembra non riesca ancora a raggiungere la terra di Palestina.