C’è un appuntamento elettorale previsto per il 2017 che, più di tutti gli altri, preoccupa gli studiosi di integrazione europea: è quello delle presidenziali francesi, con la prima tornata in calendario per il 23 aprile e il ballottaggio fissato per il 7 maggio. Già due anni fa, il consulente politico Raphaël Glucksmann aveva immaginato in un pamphlet il discorso di investitura che potrebbe essere pronunciato dalla leader del Front National la sera di questo fatidico 7 maggio: “Cari compatrioti, oggi si scrive una nuova pagina della Storia e a scriverla sarà la Francia, non Bruxelles o Washington…”. Nel caso in cui vincesse le elezioni, Marine Le Pen ha già annunciato di voler riprendere il controllo delle frontiere e indire un referendum sull’uscita della Francia dall’Unione Europea. Lei stessa in precedenza aveva giudicato positivamente il successo della Brexit al referendum nel Regno Unito ed aveva chiesto una votazione simile in Francia e per gli altri Paesi, nonostante in Francia – come pure in Italia – la Costituzione non prevede la possibilità di tenere un referendum su trattati internazionali.
Marine Le Pen è arrivata alla guida del partito nel 2011 con un solo obiettivo: ‘Dédiaboliser’, ripulire l’immagine del Front National che nel 1972 era nato dall’unione di ex collaborazionisti, neofascisti, aspiranti golpisti, nostalgici dell’Algeria francese. I reietti della Storia, come li definisce Anais Ginori. Quel partito aveva sconvolto l’Europa nel 2002, quando il suo fondatore, il fascista Jean-Marie Le Pen, era arrivato al ballottaggio contro il candidato del partito gollista, Jaques Chirac. Allora tutti gli altri partiti avevano supportato quest’ultimo: perfino gli elettori socialisti e comunisti, per cui era ‘meglio un ladro che un fascista’. Chirac che aveva facilmente vinto il secondo turno con l’82 per cento dei voti e da allora il Front National non ha più raggiunto il secondo turno.
Questa volta, però, ci sono buone ragioni per pensare che Marine Le Pen sia una contendente seria alla presidenza. Nel 2015 la Francia è stata martoriata da una serie di attacchi terroristici. Ancora oggi in quasi tutte le grandi città ci sono importanti minoranze islamiche la cui integrazione è pessima, per via di una lunga serie di ragioni che non possiamo approfondire in questa sede ma per cui rimandiamo ad un’analisi di Olivier Roy che spiega come la questione dell’integrazione generazionale, culturale e religiosa è fonte di profondissime tensioni. Accanto a queste fratture identitarie, ci sono anche i problemi economici. La crescita economica del paese è ferma all’uno per cento dell’ultimo anno e quasi un giovane su quattro è disoccupato. Insomma, è una combinazione perfetta per alimentare il discontento sociale. Non c’è da stupirsi se il presidente in carica, Francois Hollande, ha un tasso di gradimento del quattro per cento: probabilmente il più basso mai registrato in una democrazia occidentale.
Al contempo, lo scenario internazionale induce a pensare che molti degli elettori che erano titubanti a votare per il Front National nel 2002 oggi potrebbero non esserlo più. Le vittorie del fronte Brexit nel referendum britannico e del candidato repubblicano Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane hanno galvanizzato i sostenitori della destra in tutto il mondo occidentale. Le Pen oggi rivendica di essere stata una delle prime a puntare sul rifiuto della globalizzazione e dell’establishment, la re-introduzione delle frontiere e l’esclusione degli immigrati dai sistemi sociali. Tutti cavalli di battaglia propri del nuovo populismo, incarnato da leader carismatici come Nigel Farage, Donald Trump, Viktor Orban e anche, per molti versi, da Beppe Grillo. Come tutti loro, Marine Le Pen parla il linguaggio dell’uomo qualunque, diretto e politicamente scorretto. Anche lei, come i leader di cui sopra, si candida nel nome del popolo, che poi è anche il suo motto elettorale; mentre i suoi sfidanti, da Francois Fillon a Manuel Valls e Emmanuel Macron, sono visti come i candidati del sistema, consapevoli dell’importanza della Commissione Europea, delle banche, delle alleanze internazionali, degli immigrati internazionali.
Nel mondo in cui sono cresciuto io, sapersi muovere in una realtà aperta e globalizzata era una qualità. Ma il mondo di oggi è diverso: elettrizzati da una serie di vittorie e legittimati dal linguaggio dei loro leader, gli sconfitti della globalizzazione vogliono diventare i vincitori di un nuovo ordine internazionale in cui la protezione della nazione val bene il rifiuto della libertà di movimento, degli accordi internazionali, della tolleranza e della laicità. Le elezioni della primavera saranno un nuovo capitolo in quest’importante scontro all’interno della democrazia occidentale. Vale la pena arrivarci preparati.
Lorenzo Piccoli