Dimentichiamoci l’Europa, che pur con i suoi limiti garantisce libertà di espressione e di pensiero. A Tucuman, in Argentina, non si parla di politica liberamente. Nei cafè e a bordo dei numerosissimi taxi non si sentono che lodi per il nuovo governo Macrì, che a differenza di quello vecchio, sembra non peccare di concussione. Questo neo-liberista ha chiuso con la linea politica dei Kirchener e ha deciso di operare in maniera opposta sia nell’economia che nell’affrontare i temi dei diritti umani per i quali gli argentini, durante questi anni, si sono battuti tanto.
In Argentina si osanna una leadership che vuole garantire un reddito adeguato a ognuno – ma nelle strade commerciali, si vende tutto a rate, dai vestiti da pochi pesos ai profumi francesi – e le file davanti alle agenzie finanziarie sono lunghe intere cuadras.
Si celebra un governo che “assicura senza ombra di dubbio” il rispetto dei diritti umani e personali – salvo poi quando alla sottoscritta è stata sequestrata l’agenda, durante l’uscita dal Paese, perché si doveva controllare che non ci fosse scritto chissà cosa, o quando sono stata fermata da un “agente” in borghese che voleva sapere perché scattavo foto nel centro storico, come accade di solito nelle dittature.
Questo controllo, anzi questa censura, viene esercitato anche nei luoghi dell’istruzione. E così, sono giunta a Tucuman su invito della facoltà di Lettere e Filosofia, per presentare una relazione sulla memoria storica degli esuli di Roma mandati in esilio durante la dittatura civico-militare di Videla.
Un incontro nell’ambito del XII Convegno di Storia Orale, tenutosi i primi di ottobre nell’università di San Miguel de Tucuman, nel nord dell’Argentina. Un lavoro lungo e delicato, al quale mi ero applicata con passione, e che era stato inserito ufficialmente tra i lavori del Convegno e persino stampato sulle brochure, salvo poi essere cancellato all’improvviso e senza che io ne sapessi nulla, per motivi ancora non chiari.
Tutto questo accade mentre le Madri della Plaza di Mayo vengono minacciate di sfratto e intimidite con le minacce e mentre i luoghi deputati alla memoria dei desaparecidos vengono spogliati degli archivi storici.
La memoria fa paura, a quanto pare.
Adesso sembra che si stiano addirittura intentando una serie di processi di riabilitazione per i genocidi e a quanto pare sono loro le vere vittime dei fermenti politici degli anni ’70 contro i quali sono state scritte e dette montagne di falsità. Con buona pace dei trentamila scomparsi.
Forse l’Argentina sta ritornando nel buio dei suoi anni più dolorosi e volere cancellare la memoria della storia non ne provocherà l’oblìo, bensì la ripetizione.