Nonostante le difficoltà degli ultimi tempi, sia di politica interna, legate alle prossime elezioni presidenziali in Serbia e alle costanti turbolenze della vicenda politica in Kosovo, sia di politica internazionale, in una fase in cui sempre più forte diventa la tensione, tra la Russia ed il blocco euro-atlantico, che si riversa sull’Europa centro-orientale, il governo serbo e l’autogoverno kosovaro hanno conseguito un nuovo, importante, accordo.
Si tratta di un accordo quasi a sorpresa, che ha seguito da vicino due eventi di segno, paradossalmente, opposto: il primo, il grave scontro legato alla illegittima “nazionalizzazione” delle miniere serbe di Trepča da parte delle autorità kosovare; il secondo, l’intesa tra Belgrado e Prishtina per l’assegnazione al Kosovo di un prefisso telefonico di carattere internazionale, attribuito non come stato indipendente, bensì come entità regionale di rilievo internazionale, dal momento che, se è vero che il Kosovo è dotato di un autogoverno, non è, in vigenza della risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di Sicurezza ONU, uno stato indipendente, e la sua autoproclamata indipendenza è stata riconosciuta solo da 112 stati su 192 della comunità internazionale.
Lo scorso mercoledì 30 Novembre le due delegazioni negozianti, quella di Belgrado e quella di Prishtina, hanno, infatti, conseguito l’importante intesa riguardante l’integrazione del sistema giudiziario del Kosovo, dando seguito, dopo mesi di dialogo e di trattative, come di consueto “facilitate” dalla mediazione europea e, in particolare, dal Servizio per l’Azione Esterna, ufficio dell’Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’Unione Europea, agli accordi di principio stipulati nel mese di Febbraio del 2015.
Secondo la nota rilasciata dal servizio stesso, infatti, «le parti», come riferito dalla stampa, «rappresentate da Edita Tahiri e Marko Djurić … hanno raggiunto un accordo sui passi finali per l’implementazione dell’Accordo sul Sistema Giudiziario (“Justice Agreement”), raggiunto nel quadro del Dialogo del 9 Febbraio del 2015. Il Servizio per l’Azione Esterna dell’Unione Europea (EEAS, “European External Action Service”) attende di ricevere conferma da entrambe le parti, il 9 Dicembre del 2016, che ottempereranno agli obblighi di implementazione inerenti alla integrazione di giudici, procuratori e personale giudiziario all’interno del sistema giudiziario kosovaro. Il processo di integrazione sarà pienamente effettivo il 10 Gennaio 2017».
Si tratta della integrazione delle strutture e del personale giudiziario serbo all’interno del quadro giudiziario kosovaro, in cambio della salvaguardia delle funzioni e del personale già attivi, in particolare nel Nord del Kosovo, il territorio a maggioranza serba in un Kosovo a larga maggioranza albanese, nonché delle sentenze già definite. Si tratta di una ulteriore conferma del dettato degli accordi, a buon diritto “storici”, siglati il 19 Aprile del 2013, che presero il nome di “Accordi di Principi regolanti la Normalizzazione delle Relazioni”.
Questi, preservando l’autonomia serba all’interno del quadro kosovaro, senza intaccare i confini regionali né imporre un riconoscimento formale dell’indipendenza kosovara, garantivano la formazione, peraltro ancora da definire, di una Comunità dei Comuni a maggioranza serba del Kosovo (sono dieci: Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Leposavić, Zvečan, Štrpce, Klokot-Vrbovac, Gračanica, Novo Brdo, Ranilug e Parteš) e una sostanziale autonomia dei Serbi del Kosovo, nel contesto giuridico kosovaro, nelle aree dello sviluppo locale e rurale, delle infrastrutture locali, della scuola e della sanità. Questi accordi, tra l’altro, prevedevano, al § 10, che «le autorità giudiziarie saranno integrate e rese operative all’interno del quadro legale del Kosovo, la Corte di Appello di Prishtina formerà un panel composto da una maggioranza di giudici serbi kosovari da impegnare nelle Municipalità a maggioranza serba del Kosovo. Una divisione della Corte d’Appello, composta sia di personale amministrativo sia di personale giudiziario, sarà dislocata a Mitrovica Nord (Corte di Distretto di Mitrovica). Ciascun panel di tale divisione sarà composto da una maggioranza di giudici serbi kosovari».
Questo impianto è stato confermato dai recenti accordi, attraverso la definizione raggiunta nel corso del Dialogo del 9 Febbraio dell’anno passato, quando i due premier, Aleksandar Vučić, da parte serba, ed Isa Mustafa, per la parte kosovara albanese, concordarono la formazione della Corte di Distretto di Mitrovica, la individuazione di un giudice serbo come presidente, e l’ambito giurisdizionale della corte, che avrà competenza su sette municipalità (tra cui i distretti serbi del Nord del Kosovo, K. Mitrovica, Zvečan, Leposavić, Zubin Potok) e sarà composta da una maggioranza di personale serbo nelle aree a maggioranza serba e, in totale, da nove procuratori serbi e nove procuratori albanesi. Si comprende così il difficile equilibrio dell’accordo.
Un accordo che rischia di ripetere, come già successo in passato, il “modello-dayton” già applicato alla Bosnia, organizzando il sistema dell’autonomia, le mutue attribuzioni e le reciproche competenze su base “etnica”, escludendo, di fatto, le numerose comunità che abitano e compongono la ricchezza e la diversità del Kosovo; un accordo che, tuttavia, realisticamente, può essere salutato come un “passo in avanti”, nella direzione della “ricomposizione”, e come presupposto per la ricostruzione delle relazioni e di un Kosovo per tutti e per tutte.