Arundhati Roy: “Kashmir non è mai stato parte integrale dell’India.”
Sono trascorsi 5 mesi da quando Burhan Wani, giovane comandante di Hizbul Mujahideen, gruppo separatista kashmiro, è stato ucciso. L’8 luglio scorso un raid delle forze di sicurezza indiane hanno ucciso Burhan Wani. Il 22enne Burhan Wani era diventato il giovane volto della ribellione indipendentista del Kashmir. Comandante del principale gruppo militante separatista dava il suo volto ai numerosi video di propaganda anti-indiana ben conosciuti in tutta la regione himalayana. Il giovane militante era considerato un terrorista dalle autorità indiane, ma dal popolo del Kashmir un combattente per la libertà. L’uccisione ha dato vita a violente proteste della popolazione in cui persero la vita decine di persone. I feriti furono oltre un migliaio. Le autorità indiane imposero il coprifuoco in tutto il Kashmir, sospendendo i servizi di telefonia mobile e l’accesso a Internet per scongiurare mobilitazioni di massa. A partire dal 16 luglio il Governo impose il blocco dei media come ulteriore precauzione contro informazione e contro-informazione. I giornali locali furono chiusi con divieto di stampa, mentre la TV via cavo fu oscurata in tutto il Kashmir.
Furono chiusi gli uffici governativi, gli uffici postali, le banche e le scuole.
Oggi la situazione è apparentemente meno drammatica, non c’è un vero e proprio stato d’assedio, i giornali pubblicano, le televisioni trasmettono, uffici, banche e negozi sono aperti. Ma è una calma apparente.
Mercoledì 7 dicembre, tre leaders separatisti, Syed Ali Geelani, Mirwaiz Umar Farooq e Yasin Malik hanno annunciato giorni di mobilitazione di protesta per il diritto all’ autodeterminazione del Kashmir. Hanno definito queste manifestazioni “general relaxation”, “rilassamento generale, incrocio delle braccia, insomma”. In occasione della giornata internazionale dei diritti umani, venerdì 9 dicembre, i 3 leaders hanno invitato i kashmiri ad andare in auto, dopo la preghiera, alla sede dell’ UNMOGIP (United Nation’s Military Observer’s Group in India and Pakistan ) e consegnare la seguente dichiarazione: “L’India negli ultimi 70 anni ha continuato a negare i diritti del popolo del Jammu e Kashmir.”
La dichiarazione dei tre leaders prosegue, più o meno, così :” Lunedì prossimo, Milad-un-Nabi, compleanno del profeta Maometto, si incroceranno le braccia tutto il giorno. Martedì 13 dicembre, non vi sarà incrocio delle braccia, ma viene dichiarato festa della donna e queste si devono riunire in assemblee con bandiere, striscioni e slogan di protesta. Mercoledi 14 ci sarà incrocio delle braccia e marce in molte località, da Srinigar a Lasjan, per esempio. Nei giorni di braccia incrociate i kashmiri sono invitati a usare trasporti pubblici solo per sostenere comunità locali di trasportatori.”
Di fronte a un simile programma di mobilitazione e di manifestazioni, autorità, forze di polizia ed esercito difficilmente assisteranno pacificamente senza reazioni.
Il Kashmir è conteso, sino dalla partition nel 1947, da India e Pakistan, per il quale hanno combattuto guerre, ritenendolo una terra propria . Ha ragione Arundhati Roy, va aggiunto, però, che il Kashmir non è nemmeno Pakistan.
Il Kashmir in India è sottoposto all’ India’s armed forces (special powers) Act (la legge sui poteri straordinari delle forze armate indiane), che attribuisce poteri speciali all’esercito, fin dall’esplosione, nel 1990, di una rivolta armata, segretamente sostenuta dal Pakistan. Da allora sono state uccisi migliaia e migliaia di kashmiri.