Lo ha detto Prodi, è doveroso. E poi lo ha detto pure mio fratello. A due giorni dal voto non posso fare a meno di rendere noto al colto e all’inclita che cosa farò al referendum. Ebbene, sì: voterò NO.
Ma niente paura: non mi lancerò in un’ennesima analisi sui pro e sui contro degli allegri viaggi a Roma dei consiglieri-senatori, dei tortuosi quorum per le elezioni presidenziali, dei travagli delle firme per future petizioni popolari, dei prosastici misteri dell’articolo 70 o le tenebrose prescrizioni del 117. Dirò solo, e brevemente, quattro cose, cioè esattamente due più due.
1) Vincesse il No, come sembra probabile, Renzi non deve dimettersi. Non solo perché sarebbe un’incongruenza politica e istituzionale, dato che il voto non è sul governo. Ma soprattutto perché sarebbe un grave danno per le prospettive di costruzione di una nuova sinistra in Italia. Se Renzi se ne andasse adesso, ci sarebbero ben poche speranze di ottenere, con o senza elezioni, un governo migliore del suo. Questo perché a sinistra continua ad incombere il vuoto. Per uscire dalla palude, è indispensabile che in questo paese si formi a sinistra del Pd una nuova grande forza illuminata, ispirata da nuovi pensieri piuttosto che da antichi rancori, concreta e visionaria al tempo stesso, capace di accendere speranze ed entusiasmi invece di seminare odio e paura, guidata da idee forti, serene e chiare, radicate nel sogno democratico che fondò questa repubblica e al tempo stesso proiettate nel futuro. Una sinistra capace di unire tutti quelli che sperano in un mondo più giusto e una vita più bella per tutti. Di ciò per il momento non c’è traccia. Cadesse Renzi, si aprirebbe una sarabanda confusa e frenetica il cui esito nessuno può prevedere. L’astuto Matteo ha capito che il timore di questo pericolo è uno dei motivi più forti che possono spingere alcuni a votare a suo favore ed è tornato ad agitare ambiguamente questa minaccia– ambiguamente, perché sa bene che, per altri che non lo amano, la speranza di vederlo sparire è una miccia forse ancor più capace di accendere le polveri del No. Che Renzi resti: ci darà il tempo di maturare un’alternativa che adesso non c’è
2) Vorrei poi sgombrare il campo da un curioso equivoco che è diventato talmente diffuso da partorire un’autentica leggenda. Quella secondo cui la Sacra Prima Parte della Costituzione non può essere modificata, mentre la tabaccosa seconda parte, zeppa solo di regolucce burocratiche, la si può strapazzare a piacimento. Come se ci fosse una Ipercostituzione che conferisce i Sacri Diritti e tanto basta, e poi una subcostituzione che si arrabatta con governo, parlamento, presidenti, consigli e corti varie che si possono smontare e rimontare senza danno. E’ una colossale fesseria. E’ la seconda parte della Costituzione quella che stabilisce in quali modi e con quali garanzie si esercita davvero la proclamata sovranità del popolo: è proprio cambiando quella che si può cancellare la democrazia trasformandola in un vuoto simulacro. La seconda parte della Costituzione è quella che istituisce i tre poteri dello stato e definisce i loro limiti, è quella che assicura che il potere sia sottomesso alla Regola ed esercitato nell’interesse di tutti e non in quello di chi comanda. La Seconda Parte della Costituzione è più sacra ancora della Prima: come quella, può essere cambiata, ma solo con tutta la cautela ed il timore con cui si maneggiano le cose sacre.
3) Per esempio, la prima cosa da fare sarebbe rivedere l’articolo 138, quello che stabilisce come si cambia la Costituzione. Siamo uno dei pochi paesi a costituzione novecentesca che consente di cambiare la legge fondamentale con la semplice maggioranza. C’è il referendum, si dirà: ma il referendum decide appunto a maggioranza, e senza quorum. Consentire alla maggioranza, del parlamento o del popolo che sia, di cambiare la Costituzione significa consentirle, se vuole, di stravolgere ogni regola e sfigurare la democrazia. Hitler e Mussolini ebbero con sé la maggioranza, e non di poco. Consapevoli di tutto questo, i vituperati politici della prima repubblica non si azzardarono mai a modificare la Carta senza i due terzi del parlamento. Non tutti sanno, a quanto pare, che solo una volta si è avuta una modifica a maggioranza assoluta: quella del Titolo Quinto nel 2001. Berlusconi ne tentò un’altra nel 2005, ma fallì il referendum. Ricordo che allora il Pd (o i Ds, o come si chiamava quella settimana) dichiarò solennemente che era stato un grave errore cambiare il Titolo V senza i due terzi e che urgeva modificare l’articolo 138 per renderli inderogabili. Non fu fatto. E adesso Renzi ci riprova. Se gli riesce, sarà un precedente pesante come una montagna. Chiunque vinca le elezioni, si sentirà in potere di mettere le mani sulla carta (pardon, sulla seconda parte…) a suo piacimento. Come dire che chi vince il campionato può cambiare le regole del calcio: noi giochiamo in dodici, tutti gli altri in dieci. Basterebbe questo, per dare a chiunque un’eccellente ragione per votare un grosso No a questo pericolo.
4) Ed eccoci all’ultimo punto. Non sono fra quelli che vedono in questa sgangherata riformazza la fuoruscita dalla democrazia. Ci vuole altro. Ma è vero che da anni tira un’aria per tutto l’Occidente che muove in direzione del rafforzamento dei governi a sfavore degli altri poteri, a cominciare dal parlamento. Ci vogliono, si dice, governi capaci di decidere senza inutili intralci. Veloci e spediti come il focoso destriero che sognava il tremendo Berlusconi.
Ebbene, vorrei ricordare sommessamente che la democrazia moderna è nata, in Inghilterra e in America, proprio contro l’arbitrio l’esecutivo, proprio per limitare i suoi poteri. Perché l’esecutivo, nonostante il nome minimalista che gli fu dato proprio per sminuirlo, è il vero potere di comando sul paese, quello che ha in mano le due grandi leve del comando stesso: il pubblico denaro e la forza armata dello stato. Per questo l’impresa della democrazia, il suo miracolo, sta tutto nell’essere riuscita ad innalzare un’architettura di regole e di vincoli che ha incatenato il potere di comando fino a sottometterlo alla volontà di tutti. Questa riforma non smantella quell’architettura (che sta tutta nella Seconda Parte), ma, questo è certo, muove un passo in quella direzione. E ben altri ne avrebbe mossi, se non fosse stata frenata ai primi colpi. Ebbene questo passo non si deve muovere, non è di questo che abbiamo bisogno. Ed ecco un’altra ottima ragione per dire un tondo No a questo progetto. Non stiamo a ripercorrere all’indietro il cammino che inventò la libertà.