“Burocrazia” è l’ultimo saggio dell’antropologo David Graeber e prende in esame lo sviluppo della cultura burocratica pubblica e privata nel mondo occidentale (il Saggiatore, 2016, euro 21, 218 p.).
Fino agli anni Cinquanta “a differenza dell’Impero britannico, che aveva preso sul serio la retorica liberoscambista e aveva abolito le tariffe protezionistiche… nel 1846, né la Germania né gli Stati Uniti erano mai stati particolarmente interessati al libero commercio. Gli americani, in particolare, erano molto più preoccupati di creare strutture amministrative internazionali” (Giovanni Arrighi).
Infatti dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti crearono l’Onu, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Gatt (poi Wto). Nemmeno “L’Impero britannico aveva mai tentato nulla del genere. O conquistava le altre nazioni o commerciava con loro. Gli americani, invece, volevano amministrare tutto e tutti” (p. 17).
Quello che oggi chiamiamo globalizzazione, libero scambio e libero mercato è “in realtà la consapevole realizzazione del primo sistema amministrativo-burocratico su scala planetaria” (p. 31). Questa nuova “alleanza tra Stato e finanza spesso produce risultati che ricordano in modo impressionante i peggiori eccessi della burocratizzazione nell’ex Unione Sovietica (p. 24). Oggi le vere armi dei potenti sono le leve dei regolamenti economici e della burocrazia finanziaria.
Il popolo britannico è fiero della protezione della privacy e dei minori obblighi burocratici, mentre gli americani vivono in una società altamente burocratica, a livello pubblico e privato, anche se sono pochi i cittadini americani che riescono ad ammettere senza problemi questa dipendenza. Ad esempio la scienza sociale americana ha valorizzato i lavori di Max Weber (tedesco) e Michel Foucaul (francese), due europei che hanno sottolineato l’importanza delle leve burocratiche.
Esaminando gli studi economici più approfonditi si può scoprire che “Sempre di più, i profitti delle imprese in America non vengono dal commercio e dall’industria, ma dalla finanza: cioè, in ultima analisi, dai debiti altrui” (p. 26). Ad esempio con i prestiti di laurea privati agli studenti, in sostanza i finanziatori ottengono per legge il diritto a una quota sui redditi futuri di quasi tutti i professionisti.
Comunque l’alto costo dei vari percorsi di specializzazione non serve tanto ad alimentare la meritocrazia, ma crea di fatto una classe di privilegiati: “le capacità non contano niente senza le credenziali, ma la capacitò di acquisire le credenziali il più delle volte dipende dal patrimonio familiare” (Sarah Kendzior, antropologa).
D’altra parte il “fascino delle procedure burocratiche sta nella loro impersonalità. I rapporti burocratici, freddi e impersonali, sono molto simili alle transazioni monetarie e hanno gli stessi vantaggi e svantaggi: da un lato sono senza’anima; dall’altro sono semplici, prevedibili e trattano tutti più o meno anno stesso modo” (p. 130). Però con lo strapotere della burocrazia “il risultato è che le norme soffocano la vita, la scienza e la creatività vengono strangolate e ognuno di noi si ritrova a passare sempre più tempo della giornata a riempire dei moduli”.
Da questo punto di vista anche Internet ha gli stessi vantaggi e svantaggi, ma forse “quella che Internet ha portato, in realtà, è una specie di curiosa inversione di fini e mezzi, dove la creatività viene messa al servizio dell’amministrazione anziché il contrario” (p. 122). I desideri di collaborazione e i sogni creativi sono sempre limitati dal genere di mezzo tecnologico utilizzato. Probabilmente solo i vecchi scambi di idee faccia a faccia sono in grado di stimolare la creatività delle persone di tutte le età a 360 gradi.
Le regole ci possono perseguitare, ma ci rendono anche felici, poiché rendono possibile tutta una serie di comodità e di reti di aiuto sociale: sanità, pensioni, ecc. In molti casi la vita è davvero molto complessa e i casi individuali possono sfuggire a qualsiasi buona regola fissata sulla carta. Ci vorrebbe un ufficio semplificazione dei casi eccezionali, con dei responsabili veri, in grado di assumersi la responsabilità di una decisione fuori dai soliti schemi, decisione che può o deve indirizzare nella creazione di nuovi moduli e nella semplificazione del linguaggio utilizzato.
Graeber considera utopico il fine della burocrazia, ma è utopica anche la sua visione bonaria della convivenza umana: da quando gli uomini vivono nella città e nei grandi villaggi, sono serviti dei sistemi per proteggere le proprietà e l’intimità familiare, come le serrature e le chiavi. Il sistema di sorveglianza informale e relazionale può funzionare solo quando ci si conosce tutti di persona. Nessun residente e nessun straniero può rischiare di entrare in caso di qualcuno senza chiedere il permesso. Non si può nemmeno entrare per curiosare sulle abitudini degli altri.
David Graeber ha insegnato a Yale e ora insegna Antropologia alla London School of Economics. Nel 2014 ha pubblicato Progetto democrazia. Un’idea, una crisi, un movimento (il Saggiatore).
Per alcuni approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=-QgSJkk1tng (2012), www.youtube.com/watch?v=3ruS17ivinU (2015), www.youtube.com/watch?v=cuBpOXGLn_o (con Brian Eno, Royal Geographical Society, 2014); www.youtube.com/watch?v=5eR_95slEFw (TED Conference, 2013; The possibility of political pleasure).
Nota finale – Per Graeber “il motivo ultimo e nascosto del fascino della burocrazia è la paura di giocare” (p. 164). Esiste il fascino della servitù e la paura della responsabilità della libertà. In effetti “ogni libertà diventa arbitrio, e ogni arbitrio diventa una forma di potere pericolosa e sovversiva. Basta fare un passo in più per desumere che la vera libertà è vivere in un mondo totalmente prevedibile e libero da questo tipo di libertà” (p. 170). E “negli stati moderni il potere sovrano è in ultima analisi il potere di mettere da parte le leggi” (p. 165, Carl Schmitt, Teologia politica).
Nota linguistica – Nel linguaggio alcune regole costrittive si trasformano in regole abilitanti, “anche se è impossibile dire quando. La libertà, dunque è effettivamente la tensione tra il libero gioco della creatività umana e le regole che quest’ultima genera di continuo. Questo è ciò che osservano sempre i linguisti. Non c’è lingua senza grammatica. Ma, allo stesso modo, non c’è lingua in cui ogni cosa, compresa la grammatica, non sia costantemente in trasformazione” (proviamo a leggere un documento o una lettera di qualche decennio fa). Perché esiste questo fenomeno? “Gli esseri umani… si annoiano a dire le cose sempre nello stesso modo. Finiscono sempre per giocare un po’… con effetti cumulativi” (p. 169).
Nota utile ai veri attivisti – “Se si mette insieme una massa di persone, questa massa come gruppo, si comporterà in modo meno intelligente e meno creativo rispetto ai suoi singoli componenti presi uno per uno. Il processo decisionale degli attivisti, al contrario, è studiato per rendere la massa più intelligente e creativa dei suoi singoli membri” (p. 171).