Il cambiamento climatico non è un’invenzione degli ambientalisti, ma un’emergenza globale fondata su basi scientifiche, che minaccia il futuro del nostro Pianeta. Occorre prenderne atto, cambiare il nostro stile di vita e agire subito con misure adeguate, se veramente abbiamo a cuore il futuro delle nuove generazioni. È forte il messaggio lanciato dal docu-film “Before the flood”, “Punto di non ritorno” (2016), diretto da Fisher Stevens e prodotto e interpretato dal noto attore Leonardo Di Caprio, ambasciatore di pace delle Nazioni Unite per le questioni riguardanti il clima.
Su Wikipedia si legge che:
La pellicola è stata presentata al Toronto International Film Festival il 9 settembre 2016 ed è stata distribuita in un numero limitato di sale negli Stati Uniti a partire dal 21 ottobre 2016.
Il 9 settembre 2016, al Toronto International Film Festival, DiCaprio annuncia che il documentario debutterà in televisione sul canale National Geographic Channel il 31 ottobre 2016. In Italia è stato trasmesso il giorno prima, il 30 ottobre, sempre su National Geographic Channel.
Dalle sabbie bituminose del Canada agli incendi delle foreste pluviali a Sumatra, dallo smog di Pechino alla rapida scomparsa delle barriere coralline in Oceania, dallo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia alle inondazioni in India, nelle isole del Pacifico e perfino nelle strade di Miami: nelle vesti di ambientalista e attivista, il premio Oscar ha girato il mondo in lungo e in largo per due anni, intervistando scienziati, politici, attivisti ed esperti per capire le origini e le possibili soluzioni per questo enorme problema chiamato global warming. Una vera e propria missione per il divo di Hollywood, che ha dichiarato di esser stato attratto sin da piccolo dalla storia delle specie animali estinte e dalla stampa di un dipinto posta nella sua camera da letto, “Il giardino delle delizie terrestri” di Bosch, un’opera affascinante per quanto inquietante, che nel terzo pannello ritrae un paesaggio decadente, spoglio e spettrale, un paradiso che è stato inaridito e distrutto. Sarà questo il futuro della Terra?
A poco più di 20 anni la stella nascente del cinema americano fu ricevuta alla Casa Bianca da Al Gore, all’epoca vicepresidente Usa. Per la prima volta sentì parlare di quello che fu indentificato come il problema più grave della nostra epoca, ovvero il cambiamento climatico, provocato dall’eccesso di emissioni di diossido di carbonio in atmosfera. Un fenomeno strettamente correlato alle attività umane, dalle modalità di trasporto al fabbisogno energetico, fino alle tecniche di produzione alimentare e di edilizia urbana. Risultato? Scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, aumento delle temperature e calamità naturali sempre più frequenti. «Inondazioni, siccità, incendi, sembrava la trama di un film di fantascienza – ricorda Di Caprio del racconto di Al Gore – purtroppo è la dura realtà che oggi si palesa ai nostri occhi».
«Le nostre economie si reggono sui combustibili fossili, ovvero, carbone, petrolio e gas naturali. Il petrolio è destinato soprattutto al settore dei trasporti, il carbone e i gas naturali vengono impiegati per l’elettricità. Sin dall’inizio del XXI secolo abbiamo iniziato a sfruttare nuove risorse estremamente rischiose, basti pensare alla rimozione delle vette montane per l’estrazione del carbone, al fracking per i gas naturali, alle piattaforme petrolifere di esplorazione, e infine alle sabbie bituminose, il metodo più invasivo per ricavare carburanti fossili. Intere foreste vengono distrutte, l’acqua dei torrenti e dei fiumi è avvelenata, l’impatto sulla natura e sulle comunità autoctone è letteralmente devastante. Pur di avere i serbatoi pieni di carburante dissipiamo immense quantità di energia. Non esiste un carburante fossile pulito», dichiara a Di Caprio Micheal Brune, direttore esecutivo di Sierra Club.
L’ecosistema pare irrimediabilmente compromesso a causa dell’azione distruttiva e su ampia scala da parte dell’uomo, dettata sempre da ragioni di profitto. È quanto sta succedendo in Canada, dove in Alberta la foresta boreale sta scomparendo a causa dell’interesse delle multinazionali per le sabbie bituminose, che permettono l’estrazione di enormi quantità di petrolio. Drammatica è anche la situazione dell’Artico, con l’impiego eccessivo dei combustibili fossili che sta provocando lo scioglimento dei ghiacciai. Se continuerà questo trend «nel 2040 sarà possibile la navigazione all’interno del Polo Nord e in estate l’Oceano artico non sarà più una distesa di ghiaccio», dichiara Enric Sala, esploratore del National Geographic, durante la visita di Di Caprio a Baffin Island, una delle 100 isole dell’arcipelago artico canadese. I narvali sono ancora uno spettacolo, ma il ghiaccio non è più solido, blu e duro come prima, sciogliendosi sempre più velocemente. La sua scomparsa determinerebbe il cambiamento delle correnti e dei cicli climatici con conseguenti inondazioni e siccità dagli sviluppi catastrofici. Si tratterebbe della trasformazione ambientale più drammatica mai avvenuta nella storia.
Se la temperatura resterà invariata rispetto all’ultimo decennio rischierà di scomparire anche la Groenlandia, come confermato dal climatologo Jason E. Box. Per la prima volta nella storia la superficie si sta sciogliendo tanto da cambiare colore e diventare più scura. Si accelera così il processo di surriscaldamento, perché se sparisce il ghiaccio che ha la funzione di riflettere e respingere il calore, il gas metano intrappolato sotto il permafrost inizia a fuoriuscire, riscaldando ancora di più il pianeta. Parole di Johan Rockstrom, il professore di scienze ambientali all’Università di Stoccolma, che nella sua analisi evidenzia come durante il secolo in corso si sia assistito a un riscaldamento medio di 4°, un incremento che non si verificava da almeno quattro milioni di anni. «Se la temperatura aumenterà ancora di 3-4° il calore eccessivo renderebbe invivibile molte regioni del mondo. Nella zona della fascia equatoriale non si potrebbe più coltivare e non avremo risorse a sufficienza per nutrire l’umanità. La prospettiva più spaventosa per gli scienziati è che la terra inizi un processo di autoriscaldamento», dichiara Rockstrom, ancora ottimista per il futuro grazie allo sviluppo tecnologico che renderà sempre più facile la transizione verso un’economia sostenibile. Lo dimostra la Danimarca, che ricava il 100% del suo fabbisogno elettrico dall’eolico, mentre la Svezia, per bocca del suo primo ministro, ha già ha promesso che sarà il primo Paese che farà a meno dei combustibili fossili, sull’onda di quanto richiesto dai suoi cittadini.
Intanto però gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire un po’ ovunque. Dalla Groenlandia alle isole del Pacifico, che secondo le previsioni scientifiche saranno presto sommerse (drammatica la testimonianza del presidente di Kiribati Anote Tong anche per il fatto che chi meno contribuisce al global warming ne subisce i peggiori danni), fino alla Florida, dove Di Caprio incontra il sindaco di Miami Beach Philip Levine, che cerca di combattere le continue inondazioni provocate dall’innalzamento del livello del mare con le installazioni di pompe elettriche e il rialzamento delle strade, un progetto di 400 milioni di dollari finanziato interamente dalle tasse dei cittadini. I politici locali, in primis il governatore Rick Scott, continuano infatti a sottovalutare il problema, opponendosi alle evidenze scientifiche per garantire gli interessi delle lobby e dei gruppi industriali.
Il perverso intreccio tra politica e grandi multinazionali mira alla disinformazione dell’opinione pubblica e a screditare la comunità degli scienziati, visto che il 97% dei climatologi concorda sull’evidenza scientifica del cambiamento climatico e sulla sua principale causa, le attività umane. Chi diffonde i risultati delle proprie ricerche sul global warming può passare guai seri, è il caso di Michael E. Mann, professore emerito di scienze atmosferiche alla Penn State University, che dopo la pubblicazione del suo studio è stato diffamato dai media (Wall Street Journal e Fox News in primis), attaccato dai membri del Congresso e considerato alla stregua di un truffatore, fino a ricevere numerose minacce di morte. «L’odio e la paura sono diffusi deliberatamente da coloro che hanno interessi nel settore dei combustibili fossili», denuncia Mann, basti pensare all’esempio dei fratelli Koch (la Koch Industries è una delle compagnie petrolifere private più grandi al mondo), che per difendere i loro profitti finanziano la macchina propagandistica per il negazionismo sui cambiamenti climatici, foraggiando politici e gruppi di opinione (Americans for Prosperity è uno di questi).
Insieme agli Usa, la Cina è il Paese responsabile delle maggiori emissioni di gas serra. Dopo il massiccio processo di urbanizzazione e industrializzazione degli ultimi 35 anni la cappa di smog è ancora opprimente ma il vento sta cambiando, perché se è vero che si continua a far largo affidamento ai combustibili fossili, la transizione verso le rinnovabili si dimostra più rapida del previsto. Nel Paese del Dragone i cittadini sono particolarmente interessati alla questione del cambiamento climatico perché pagano già i suoi effetti sulla loro pelle, ecco dunque le imponenti manifestazioni di popolo che hanno influenzato anche i media, contribuendo al rafforzamento della politica sostenibile. In prima linea vi è uno dei personaggi incontrati da Di Caprio nel film, Ma Jun, il fondatore dell’Istituto affari pubblici ambientali, che ha ideato una banca dati con una mappa dei livelli di inquinamento, al fine di imporre il rispetto della normativa agli stabilimenti industriali.
Più difficile la situazione in India, dove ancora il 30% delle famiglie non ha accesso all’elettricità e i ceti più poveri subiscono le pesanti conseguenze del cambiamento climatico, con le inondazioni che distruggono i raccolti unica fonte di reddito. Pensate che succederebbe se 700 milioni di famiglie che utilizzano ancora il letame come fonte energetica per cucinare passassero al carbone, che in India è economico e disponibile in grandi quantità. Il consumo dei combustibili fossili aumenterebbe a dismisura e il mondo sarebbe spacciato. «Mediamente un cittadino americano consuma un quantitativo di elettricità 34 volte maggiore rispetto a quella di un indiano perché vengono costruiti edifici sempre più imponenti. La questione dello stile di vita e dei consumi deve essere posta al centro del dibattito sul clima», dichiara nel film Sunita Narain del Centro per l’ambiente e la scienza di Delhi. In generale, oltre un miliardo di persone vive senza elettricità ad ambisce a raggiungere lo stile di vita statunitense. Per risolvere il problema occorre che i Paesi progrediti diano l’esempio modificando abitudini e passando progressivamente alle energie pulite, aiutando quelli in via sviluppo nella transizione. Sobrietà è la parola d’ordine per il futuro del nostro pianeta.
Il problema è che stiamo distruggendo gli ecosistemi che contribuiscono alla regolazione del clima. Oceani e foreste sono sempre più a rischio. La splendida barriera corallina sta scomparendo insieme ai pesci, che rappresentano l’unica fonte di apporto proteico per oltre un miliardo di persone. Negli ultimi 30 anni la popolazione dei coralli si è ridotta del 50% e l’oceano, che ha la funzione di stabilizzare il clima, non riesce più ad assorbire l’immensa quantità di diossido di carbonio che ogni giorno l’uomo immette nell’ambiente. Stesso discorso per le foreste pluviali, preziose per la loro capacità di neutralizzare le emissioni nocive, oggi trasformate in pericolose bombe al carbonio perché incendiate per il business delle grandi multinazionali.
Di Caprio si reca in Indonesia, dove l’espansione dell’industria dell’olio di palma ha portato alla distruzione dell’80% delle foreste. A Sumatra lo attende una desolante distesa di ceneri. In un circolo vizioso, le aziende ottengono illecitamente, da autorità politiche corrotte, le autorizzazioni per bruciare intere regioni destinate alla coltivazione dell’olio più economico e a buon mercato, quello di palma, che viene utilizzato per la produzione di alimenti industriali, cosmetici e detergenti, fruttando ingenti profitti alle multinazionali. Un dramma anche per gli animali, su tutti gli oranghi, le cui popolazioni sono state decimate. In uno dei momenti più toccanti del film Di Caprio si diverte a dar da mangiare agli esemplari salvati dalla Paneco Foundation, oggi costretti a vivere rinchiusi in gabbia. Quelle zampe che si allungano oltre le sbarre per raccogliere frutta e carote chiamano in causa la nostra coscienza e rappresentano un monito sull’importanza della salvaguardia della biodiversità. Non dobbiamo dunque considerare l’olio di palma solo per gli effetti nocivi sulla salute, ma anche per le terribili conseguenze ambientali provocate dalla sua coltivazione.
Perché allora i governi non impongono restrizioni alle grandi imprese disposte a distruggere il pianeta per i loro biechi profitti, si chiede di Caprio? Strumenti ci sarebbero, ad esempio la carbon tax, che se applicata porterebbe a tassare ogni attività che comporti l’emissione di diossido di carbonio, imponendo un senso di responsabilità sociale. D’altronde, come è stato calcolato, entro il 2060 i cambiamenti climatici peseranno sulle tasche dei contribuenti statunitensi per un totale di 44 trilioni di dollari. Non resta altro che convincere l’opinione pubblica a far pressioni sulla classe politica per costringerla a imporre questa tassa quanto mai benefica, spiega Greg Mankiw, docente di economia alla Harvard University e autore del libro “Principle of economics”.
In attesa della svolta a livello politico, il docu-film ci insegna che ognuno di noi può contribuire alla lotta al cambiamento climatico a partire dalle piccole azioni quotidiane. Se ci trasformassimo in consumatori responsabili, strizzando un occhio all’ambiente quando scegliamo cosa mangiare, come muoverci e quali fonti energetiche utilizzare, renderemmo il mondo un posto migliore. «L’unica cosa che possiamo fare è controllare le nostre azioni future, cambiare lo stile di vita, moderare i consumi, partecipare alla vita pubblica e usare il voto per comunicare con i nostri politici che siamo a conoscenza della verità sui cambiamenti climatici», afferma Di Caprio.
Nelle nostre scelte a tavola bisognerebbe esser consapevoli che tra le cause principali della deforestazione tropicale vi è l’allevamento di bestiame, massima testimonianza dell’impiego irrazionale delle risorse del pianeta. Negli Usa il 47% della terra è destinato alla produzione alimentare e in massima parte alla coltivazione di mangimi animali (70%). Nell’intervista rilasciata a Di Caprio, Gidon Eshel, un professore di fisica ambientale al Bard College che studia gli effetti dell’agricoltura sul clima, spiega che l’allevamento bovino comporta un incredibile spreco di risorse (suolo, acqua) e accentua il tasso delle emissioni nocive, perché questi animali mangiano fino alla completa sazietà e durante la masticazione rilasciano in atmosfera un’enorme quantità di metano. Il 10-12% delle emissioni degli Usa è riconducibile ai bovini, mentre rispetto alle coltivazioni di riso, patate e grano il consumo di terra necessario al loro allevamento è cinquanta volte superiore! Ancora convinti dei vostri spuntini nei fast food? La dieta vegetariana è quella a minor impatto ambientale, ma se proprio non riuscite a rinunciare alla carne Eshel consiglia di dar la preferenza a quella bianca, che comporta un consumo di suolo nettamente inferiore (-20%) e minori emissioni.
Al di là dell’importanza delle nostre scelte quotidiane, nel film non mancano note di ottimismo per il futuro, a partire dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Nel suo lunghissimo viaggio Di Caprio si è recato anche alla Tesla Gigafactory (Reno, Nevada), che una volta ultimata diventerà il più grande stabilimento industriale del mondo (1.400.000 mq). Qui ha incontrato l’amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, il visionario imprenditore intenzionato a risolvere la sfida fondamentale per il futuro dell’energia sostenibile, ovvero il suo immagazzinamento. Alla Tesla Gigafactory si lavora per ridurre il costo delle batterie e permettere a tutti di acquistarle, con la convinzione che anche nei Paesi in via di sviluppo e ad alta densità demografica il solare e le batterie possono esser diffusi senza la necessità di impiantare immense centrali elettriche. Anche in un villaggio sperduto, infatti, i pannelli solari potrebbero ricaricare il set di batterie necessario a illuminare intere comunità, senza impiantare migliaia di Km di cavi ad alta tensione. Secondo i calcoli di Musk basterebbero 100 gigafactory per la transizione verso un’economia sostenibile: occorrono adesso normative ad hoc da parte dei governi (ricordate la carbon tax?) e l’impegno comune di grandi aziende e case automobilistiche in Europa, Usa e Cina.
Dopo gli incontri con l’ormai ex-presidente Usa Obama (quanta paura oggi per l’elezione di Trump che nega il cambiamento climatico) e perfino con Papa Francesco, autore dell’enciclica “Laudato sì” sull’ambiente, che chiede un intervento immediato contro il riscaldamento globale e giustizia per i poveri del mondo, il film si chiude con il significativo intervento di Di Caprio alla Conferenza Onu di Parigi sul clima (Cop21), dove i rappresentanti di 195 Paesi si sono impegnati a contenere l’aumento della temperatura media mondiale «ben al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli preindustriali».
«Serve un cambiamento radicale e immediato, bisogna far nascere una nuova coscienza collettiva, l’umanità deve conoscere una seconda evoluzione e il tempo a nostra disposizione non è molto. Tutti noi dobbiamo ricordarlo. Non dobbiamo adagiarci sugli allori, tutto sarà inutile se i leader mondiali torneranno nei loro Paesi senza mettere in pratica le promesse contenute in questo storico accordo. Dopo 21 anni di dibattiti e di conferenze è il momento di mettere da parte le reticenze, le scuse, le infinite ricerche, i tentativi da parte delle industrie petrolifere di condizionare la scienza e le scelte politiche che incidono sul nostro futuro. Il Pianeta conta su di noi, le future generazioni potranno lodarci oppure denigrarci. Noi rappresentiamo l’ultima speranza della Terra. È nostro dovere proteggerla, o per noi e per tutte le forme di vita che amiamo è la fine».