Due scadenze, il passaggio al nuovo anno e l’avvicinarsi del 25 gennaio, primo anniversario della sparizione di Giulio Regeni al Cairo, rischiano di produrre azioni frettolose, che hanno l’obiettivo di chiudere presto il periodo di rapporti tesi tra Italia ed Egitto arrivando a una qualche “verità”. Che abbia fretta il governo egiziano non stupisce; che paia mostrarla anche quello italiano, sì.
E’ una fretta del tutto politica, che vede la Farnesina e Palazzo Chigi attestare la “recente collaborazione” della procura egiziana e ventilare sviluppi positivi che consentirebbero presto di rimandare l’ambasciatore italiano al Cairo. Di normalizzare i rapporti. Una fretta che non sembra condivisa dalla Procura di Roma, che porta avanti il suo meritorio lavoro investigativo e che per due volte nel giro di meno di 10 giorni ha preso la parola, per smentire prima l’esistenza di elementi nuovi e poi le ricostruzioni di Mohamed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti cairoti.
Già, Abdallah. La memoria del pesce rosso ha spinto non pochi commentatori a valutare di grande interesse i contenuti della sua intervista all’edizione araba dell’Huffington Post. In realtà, come è presto emerso, Mohammed Abdallah ha detto cose vecchie e infamanti al servizio di un nuovo tentativo di depistaggio.
Nulla di nuovo, dunque.