Senza cadere in un complottismo fine a se stesso, il ripetersi puntuale di alcune circostanze a ogni attentato terroristico rivendicato dall’Isis o da Al Queda dovrebbe per lo meno suscitare qualche dubbio, domanda e riflessione.
Settembre 2001: tra le macerie della Torri Gemelle di New York viene ritrovato il passaporto di uno dei dirottatori degli aerei. Il Presidente Bush lancia la “guerra al terrore”, i cui tragici effetti si avvertono ancora oggi. Approvato pochi giorni dopo l’attentato, il Patriot Act limita gravemente le libertà personali in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo.
Marzo 2004: bombe all’interno di zaini lasciati in quattro treni provocano una strage a Madrid. A tre giorni dalle elezioni, il governo di destra di Aznar attribuisce la responsabilità all’ETA, ma viene presto smentito da prove concrete e da una rivendicazione del terrorismo islamico, come rappresaglia per il coinvolgimento spagnolo nella guerra in Iraq. Una pacifica rivolta popolare per le palesi menzogne del governo porta alla vittoria elettorale dei socialisti.
Luglio 2005: attentatori suicidi causano decine di morti facendosi esplodere nella metropolitana e in un autobus di Londra, come rappresaglia per il coinvolgimento britannico nelle guerre in Afghanistan e Iraq. Come a Madrid, vengono scelti un orario e un luogo adatti a provocare il maggior numero di morti e feriti tra la popolazione civile.
Gennaio 2015: dopo l’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi, gli investigatori trovano la carta d’identità di Said Kouachi, uno dei fratelli responsabili della strage, nell’auto usata per arrivare al giornale. I fratelli Kouachi e un altro terrorista, Amedy Coulibaly, vengono uccisi durante l’irruzione dei gendarmi e delle forze speciali francesi nella tipografia e nel supermercato kosher in cui si erano barricati. Il governo socialista di Manuel Valls rafforza i poteri di sorveglianza e di repressione, con leggi ancora più restrittive del Patriot Act. Nel tentativo di bloccare l’enorme afflusso di migranti in fuga dalla guerra vengono ripristinati i controlli alle frontiere.
Novembre 2015: un gruppo di terroristi compie attentati in diversi luoghi pubblici di Parigi, tra cui lo stadio e il teatro Bataclan. Alcuni muoiono subito facendosi saltare in aria, altri durante successivi scontri con la polizia e irruzioni in appartamenti alla periferia di Parigi e in Belgio. Alcuni dei kamikaze vengono identificati grazie ai passaporti ritrovati nelle vicinanze. Il Presidente Hollande dichiara lo stato di emergenza.
Marzo 2016: strage all’aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles. Due kamikaze si fanno esplodere. Tra le cinque persone arrestate c’è Mohamed Abrini, ricercato per gli attentati di Parigi.
Luglio 2016: Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, autore dell’attentato avvenuto a Nizza la sera del 14 luglio, viene identificato grazie a documenti trovati sul camion lanciato a folle velocità sulla folla che gremiva il lungomare e poi ucciso dalla polizia francese. Il Presidente Hollande prolunga lo stato di emergenza fino al 2017.
Dicembre 2016: Anis Amri, considerato il responsabile della strage al mercatino di Natale a Berlino, lascia un documento che permette di identificarlo nel camion usato per l’attentato e viene ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia a Sesto San Giovanni, vicino a Milano. Anche in questa occasione le reazioni dell’estrema destra non si fanno attendere: chiusura delle frontiere, sospensione di Shengen, arrivo dei profughi additato come responsabile del terrorismo.
Sullo sfondo, i conflitti sempre più sanguinosi in Medio Oriente, in cui l’Occidente è coinvolto fino al collo (tra gli interventi diretti per garantirsi profitti e materie prime e la vendita di armi), invocati come giustificazione della mostruosa rappresaglia terrorista, il dramma di milioni di profughi in fuga dalla guerra e “accolti” in Europa da muri e intolleranza e l’aumento della paura e dell’insicurezza tra la gente: con l’eccezione dei giornalisti di Charlie Hebdo, le vittime degli attentati sono infatti persone comuni, colpite mentre si trovavano in luoghi che tutti potrebbero frequentare – uno stadio, una sala concerti, ristoranti, la metropolitana, un aeroporto, un mercatino di Natale, un lungomare una sera di festa. E proprio questo contribuisce all’allarmante crescita di movimenti e partiti di estrema destra, dichiaratamente razzisti, che incolpano gli immigrati di tutti i mali di una società sempre più impoverita e impaurita.
Gli elementi in comune tra tutte queste vicende, le versioni ufficiali poco credibili e le domande senza risposta sono così evidenti che forse non c’è nemmeno bisogno di sottolinearli.
Vale la pena però di ricordare reazioni diverse dal razzismo e dalla xenofobia: il rifiuto dell’odio e della violenza espresso in tante manifestazioni spontanee dopo gli attentati, le iniziative di aiuto, solidarietà e accoglienza nei riguardi dei profughi organizzate in tante grandi città europee e nelle isole greche e italiane e l’impegno di alcune amministrazioni come Barcellona, Berlino e Atene per creare una rete di “città rifugio”.
E infine, vale la pena di riprendere ancora una volta la sintetica e sempre attuale raccomandazione di Noam Chomsky: “C’è un modo molto semplice di combattere il terrorismo: smettere di praticarlo.”