Milioni e milioni di animali ogni anno vengono trasportati su migliaia di chilometri di strade nei paesi europei in stato di sofferenza, disidratazione e malattia. Spesso molti esemplari muoiono durante questi viaggi crudeli. Ma StopTheTrucks chiede che venga posta fine a queste sofferenze e sta promuovendo una campagna per cambiare le regole.
Secondo StopTheTrucks.eu ogni anno oltre un miliardo di esseri viventi tra polli, maiali, pecore, mucche e cavalli vengono trasportati per lunghe distanze all’interno dell’Unione Europea e verso paesi terzi. Questi viaggi, spesso di diversi giorni, sottopongono gli animali ad ogni genere di maltrattamento: enorme stress, disidratazione, ferite, malattie e, in alcuni casi, morte. Questo destino non viene risparmiato neppure ai cuccioli né agli animali indeboliti da anni di produzione e abusi che vengono costretti a viaggiare in camion affollati, senza cibo e senza acqua.
Nel 2014 Germania, Danimarca e Olanda presentano una richiesta alla Commissione Europea per una revisione della EU Animal Transport Regulation (2005/1). Nel 2015 si aggiunge anche la Svezia per chiedere specificamente di rivedere i tempi di durata di trasporto degli animali riducendoli sensibilmente e secondo la specie. Ma non basta. Le norme esistenti non vengono, spesso, fatte rispettare.
Nel 2016 Eurogroup for Animals, il principale network animalista europeo di cui LAV è membro, chiede con la campagna StopTheTrucks a tutti i cittadini europei di sostenere quella richiesta.
Abbiamo incontrato Roberto Bennati, Responsabile dei Rapporti Internazionali e dell’Area Allevamenti presso la LAV Lega Antivivisezione.
Che cos’è l’iniziativa Stop the Trucks?
Si tratta di una campagna europea partita nel 2016 con uno scopo molto semplice: fare in modo che l’Unione Europea riveda la normativa sul trasporto degli animali che sono destinati alla macellazione. L’applicazione di questa norma negli ultimi dieci anni, è una norma in vigore dal 2005, è fortemente disapplicata e crea moltissime sofferenze agli animali. Con questa campagna tutte le associazioni europee chiedono all’Unione Europea e a tutti i paesi che ne fanno parte di rivisitare questa normativa e introdurre elementi di restrizione per quanto riguarda in particolar modo le distanze e i tempi di viaggio. Si chiedono, inoltre, una serie di normative più restrittive per quanto riguarda il trasporto di alcune specie.
C’è quindi una legge che non viene rispettata. Che cosa prevede la legge vigente?
Oggi abbiamo trasporti che, se rispettano la legge, possono durare anche diversi giorni. Questo è inaccettabile. Si rispettano cicli che vanno dalle 9 alle 14 ore e che possono essere effettuati due volte con una pausa. Si arriva fino a un massimo di trenta ore senza pause. Sono documentate violazioni alle regole con trasporti che durano anche giorni senza riposo e senza bere. L’assurdità complessiva del sistema è che non è logico far nascere un animale in Romania, portarlo per l’allevamento in Calabria e poi mandarlo a macellare in Spagna. Le industrie della macellazione riescono con questi sistemi di scambio commerciale a risparmiare qualche centesimo. La collettività e soprattutto gli animali pagano, però, un prezzo altissimo.
In che condizioni vengono trasportati gli animali verso i macelli?
Un animale come un agnello che è un cucciolo, un erbivoro e nella “catena alimentare” naturale è una preda, è costretto a entrare in un camion, su una strada rumorosissima, senza potersi muovere, a temperature non idonee, in mezzo a rumori e inquinamento. Tutto questo porta l’animale a uno stress enorme e gli provoca una profonda sofferenza. Questo vale per tutti gli animali anche se ci sono animali che soffrono di più e altri di meno.
Le condizioni del trasporto dell’animale vengono quindi lasciate alla sensibilità personale dell’allevatore? Si pensi ad esempio ad alcuni tipi di allevamento “etico” in cui vengono attuate misure molto strette in questo senso.
L’industria zootecnica è globalizzata. Ci sono figure che si occupano dell’importazione degli animali e quindi li cercano in giro per l’Europa in diversi momenti dell’anno. A seconda dei volumi che vengono richiesti si vanno a cercare animali nei vari paesi. L’allevatore, quindi, non è altro che uno degli anelli della catena che riguarda la movimentazione degli animali.
Qual è la soluzione?
La soluzione non sono gli allevamenti etici; noi come LAV non li promuoviamo in alcuna maniera e pensiamo che non esistano allevamenti che possano definirsi etici. Possono esserci allevamenti meno intensivi ma non etici. Diciamo che per risolvere la questione la soluzione è modificare il sistema di alimentazione e fare in modo che il consumo di carne sia sostituito dalle proteine vegetali. Questo nuovo modo di alimentarsi è in linea anche con la protezione dell’ambiente in cui viviamo in generale. Non è più sostenibile a livello etico e ambientale far circolare questi mezzi e allevare un così alto numero di animali. Se non cambiamo il modello di consumo questo tipo di trasporti troveranno sempre una giustificazione. Il tema del cambiamento climatico, ad esempio, è stato per anni attribuito soltanto alle industrie e al trasporto delle merci mentre gli allevamenti sono responsabili della generazione del 64 per cento dell’ammoniaca prodotta a livello planetario e di oltre il 18 per cento dei gas clima-alteranti. Cominciano ad esserci discussioni su un’eventuale tassazione della carne a fini ambientali. Ci sono ormai evidenze scientifiche sul fatto che gli allevamenti intensivi sono il terzo contributore all’inquinamento globale del pianeta e quindi anche ai cambiamenti climatici ma le politiche sono ancora molto indietro. Anzi, continuiamo a sostenere, in tutto il mondo, lo sviluppo di sistemi produttivi altamente intensivi con i soldi pubblici.
Di che cosa c’è bisogno?
C’è bisogno di attuare una rivoluzione verde, di cambiare il sistema di produzione perché le sigarette hanno subito un percorso di campagne di sensibilizzazione per disincentivarne il consumo e la carne non è diversa dal tabacco anche come impatto sulla salute umana.
Nonostante le avvertenze anche molto precise stampate sui pacchetti di sigarette la gente, però, continua a fumare. Dire che fa male, che inquina o che non è etico non ha spesso un impatto efficace anche se, secondo coscienza e buona volontà si può fare. Se si ha a che fare con il piacere e il gusto le cose non sono così semplici. La tradizione e la cultura hanno, inoltre, un loro ruolo. Che cosa ne pensa?
Dobbiamo fare un’informazione completa, aperta e oggettiva. Per fare un esempio, negli anni settanta ricordo le pubblicità dello zucchero bianco presentato come vita. Oggi sappiamo che lo zucchero è nemico della vita, è causa di malattie gravissime e il suo consumo è diminuito. Fino a pochi anni fa la medicina ufficiale non diceva che lo zucchero era un problema mentre adesso lo dice. La medicina ufficiale non riesce ancora a trovare l’unanimità nel dire che la carne fa male ma adesso l’OMS invece inizia a dirlo. Il gusto è sempre una scelta consapevole. Non ho mai conosciuto nessuno che non ami il sapore dello zucchero come altre sostanze simili. Dobbiamo dare un’informazione consapevole e così cambieranno i consumi. E’ chiaro che non avremo mai cambiamenti dall’oggi al domani come non ci sarà mai l’abolizione di alcune sostanze. Le sigarette saranno probabilmente consumate per i prossimi 50 anni così come anche la carne. Intanto però iniziamo a rivedere in termini di volumi la quantità del consumo che è assolutamente inaccettabile. Dobbiamo dire chiaramente che per ogni cittadino che si muove nel mondo contemporaneamente si muovono 10 animali. Ci sono al momento 62 miliardi di animali allevati e uccisi ogni anno per il consumo di carne. Questi livelli non sono più tollerabili.
Le violazioni al momento vengono perseguite o si chiude un occhio? Com’è la situazione in Europa e in Italia in particolare?
Ci sono controlli ma in numero non adeguato. In alcuni paesi non ve ne sono o sono inefficaci a livello europeo. Complessivamente la norma è largamente non applicata. Questo significa che in alcuni paesi si è più avanti e in altri meno oltre al fatto che le violazioni non vengono sempre perseguite. In Francia hanno applicato questa legislazione in modo inadeguato, per esempio, e anche la parte sanzionatoria è ridicola. Si può commettere ogni genere di abuso sugli animali e pagare solo 300 euro. In Italia abbiamo fatto un lavoro molto strutturato grazie all’attività della LAV e alla collaborazione con le forze dell’ordine e dei servizi veterinari in alcune zone. Il controllo, in ogni caso, riguarda più l’aspetto sanitario. Siamo, però, molto indietro per ciò che riguarda il trattamento degli animali. Come LAV abbiamo sviluppato diversi programmi di formazione delle forze dell’ordine proprio per applicare e reprimere questi comportamenti. I numeri che abbiamo prodotto in questi anni testimoniano che quando si fa repressione vera e capillare il numero delle violazioni è altissimo e si vede. Il caso dello scandalo del macello di Ghedi in provincia di Brescia è l’ultimo ma dal 2006 documentiamo lo scandalo del trasporto degli animali. Per fare un esempio, il trasporto delle mucche da latte: alla fine della loro produttività le mucche vengono destinate al macello e subiscono abusi che nessun cittadino si sognerebbe mai di condividere come non penserebbe mai di mangiare carne di animali che sono stati trattati in quel modo.
Il problema è quindi che la gente non sa?
La gente non sa perché l’industria non vuole che si sappia. Se noi chiediamo a qualcuno da dove viene l’hamburger che ha nel piatto la maggior parte delle persone non saprà rispondere. Ebbene, si tratta della carne di animali a fine carriera produttiva del latte: mucche o bufale. I muscoli delle pance degli animali a fine carriera che hanno subito trattamenti antibiotici e hanno un’esperienza di grande sfruttamento e maltrattamento, finiscono per diventare questo tipo di produzione pericolosa in termini nutrizionali che può diventare anche veicolo di trasporto di molecole come i cortisonici nella nostra alimentazione.
Si riferisce alla resistenza agli antibiotici di cui si parla molto?
La resistenza agli antibiotici di cui tanto si discute è uno degli allarmi planetari più grandi e dobbiamo ricordare che il 70 per cento degli antibiotici prodotti e venduti nel mondo sono destinati agli animali negli allevamenti intensivi. Dobbiamo assolutamente cambiare il nostro sistema alimentare. Solo così possiamo garantire un po’ di salute. Altro passo estremamente importante è che la comunità scientifica indaghi veramente la correlazione tra malattie e alimentazione a base di carne. E’ un tema che sta emergendo ma che viene tenuto nascosto da un’industria molto aggressiva e che non tiene in considerazione la salute dei cittadini. E’ il loro business così come quello del petrolio o del tabacco. E’ un gioco economico ma la differenza è che noi possiamo consumare più sigarette o più plastica ma questo avrà un costo enorme in termini di salute e di inquinamento. Ancora non si stanno unanimemente riconoscendo i danni degli allevamenti verso la salute e verso l’ambiente provocati dall’industria zootecnica. Io credo che un sistema economico di questo tipo debba essere tassato e disincentivato per tutelare salute e portafoglio.
L’industria zootecnica significa un enorme numero di posti di lavoro. Come si fa a cambiare rotta?
Così come questi posti di lavoro si sono creati con un sistema non sostenibile dobbiamo promuovere e sviluppare la riconversione verso le proteine vegetali. Quello che non si vuole riconoscere è che anche quella è una industria in crescita che genera posti di lavoro però non violenti e capaci di rispettare gli animali, l’ambiente e la salute umana. Migliaia di persone lavorano ormai in questa industria e il suo sviluppo sarà una opportunità di lavoro. La riconversione dell’industria zootecnica che oggi è in forte crisi, è già oggi un tema. Bisogna capire se lo si vuole affrontare ora o attendere qualche decennio con costi sociali che non dipendono da una buona alimentazione ma da una cattiva industria e una miope politica.
Quali altri paesi stanno lavorando in questa direzione oltre ai quattro paesi di cui abbiamo parlato?
Tutti i paesi europei che hanno organizzazioni per la protezione degli animali stanno lavorando su questo tema. Eurogroup for Animals, federazione presente a Bruxelles e che raccoglie moltissime organizzazioni animaliste, sta lavorando a questa campagna. Ci sono paesi più avanti e paesi più indietro. L’Italia, ad esempio, è uno dei paesi più indietro da questo punto di vista nonostante si sia fatto un grande lavoro nell’applicazione della norma ma in realtà quello che vediamo è che siamo un paese non autosufficiente dal punto di vista dell’allevamento e importiamo tanti animali. Inoltre, le industrie della macellazione e gli importatori di bestiame fanno sentire la propria voce presso le istituzioni. L’Italia purtroppo è storicamente molto conservatrice in questo senso.
Che cosa chiedete?
Con questa campagna vogliamo dare voce a quello che pensano i cittadini e fare in modo che si applichino da subito le leggi europee e che vengano modificate. Pensiamo solo al fatto che l’Unione Europea avrebbe già dovuto rivedere questa normativa ma a causa delle pressioni dell’industria zootecnica non vuole neanche fare la valutazione di come questa norma venga applicata. Questa è l’Europa delle lobby e che non ci piace.
Che cosa possiamo fare noi tutti? E quali sono i prossimi passi da fare?
Intanto noi vogliamo raccogliere un milione di firme, poi le presenteremo a tutti i parlamentari europei e alla Commissione europea per chiedere che parta da subito questo percorso di revisione della norma. Una revisione che passi per norme più restrittive nei tempi di viaggio e norme che tengano in considerazione l’etologia degli animali. Questo è un primo step legislativo, poi la nostra associazione abbina questa campagna a un’informazione capillare affinché i cittadini oltre a una firma facciano la vera rivoluzione che è quella di cambiare il menu di tutti i giorni. Le persone possono andare sul nostro sito cambiamenu.it , lì c’è la possibilità di avere informazioni che normalmente l’industria non dà e si invita ad iniziare a praticare, a cominciare da una sola volta alla settimana, un modello di alimentazione rispettosa della propria salute, degli animali e dell’ambiente.
C’è una data entro la quale devono essere conclusi questi step?
Non c’è una data limite ma stiamo concentrando tutti i nostri sforzi perché vorremmo entro i primi mesi del nuovo anno arrivare al raggiungimento del milione di firme e poi nel 2017 arrivare a chiedere la revisione della normativa.
Quante firme ci sono al momento?
Siamo sopra le 350.000 in tutta Europa ma siamo indietro in Italia. Al momento siamo a 30000 firme che ancora non bastano. E’ una prima risposta ma dobbiamo fare di più, insieme ai cittadini.
Per partecipare all’iniziativa: stopthetrucks.eu