Ci risiamo, sei anni dopo il mio quartiere, cioè via Padova, si trova di nuovo sbattuto in prima pagina e di nuovo si trova associato alla parola “esercito”. Nel 2010 chi governava Milano, cioè Moratti, De Corato e Lega, si inventarono persino un coprifuoco e fu un’esperienza allucinante, da universo parallelo, che non auguro a nessuno, ma che alla fine avrebbe prodotto una sana reazione del quartiere e, a conti fatti, provocato l’inizio della fine del ventennio di governo cittadino delle destre.
Con l’amministrazione arancione i toni cambiarono decisamente e l’aria si ripulì, ma via Padova rimase periferia dal punto di vista dell’attenzione politica e amministrativa, tutta monopolizzata dal centro, dai grandi eventi e dal nuovo skyline. Ora c’è un altro Sindaco, che parla di nuovo impegno verso le periferie, ma poi ci ha messo pochi mesi a ricascare nel vecchio vizio. E così, ora mi toccherà di nuovo affrontare amici, colleghi e conoscenti che con occhi sgranati mi chiedono “Abiti in via Padova! Ma come fai? Non è pericoloso?”.
Via Padova non è certamente un paradiso, ma non è nemmeno l’inferno. E personalmente mi piace stare qui. È una delle tante periferie, dove peraltro vive la maggior parte dei milanesi, che soffre per la disattenzione della politica cittadina che conta. E in questi ultimi anni la distanza tra centro e periferie è cresciuta. Basta farsi un giro in città con occhi e mente aperti per rendersene conto.
Via Padova è lunga circa 4,5 chilometri, parte da Loreto e finisce a Cascina Gobba, sul confine con Vimodrone e Cologno Monzese. Secondo Google Maps ci metti 55 minuti a fartela a piedi. È una via che comprende un sacco di mondi diversi, dove ci sono i famosi posti poco raccomandabili, come per esempio via Arquà, ma che lo sono da tempo e tutti quanti li conoscono. Ma poi c’è anche e soprattutto molto altro, come la Martesana o le ville d’epoca di Crescenzago oppure le molte zone normalissime con i loro normalissimi problemi, come la mia, dove il problema principale sono le buche nell’asfalto e la cacca dei cani per strada. Ecco, giusto per ricordare che puoi anche vivere tranquillamente in un quartiere meticcio e multietnico e avere quei problemi lì e non necessariamente quello del delinquente fuori di testa che ti assalta sotto casa.
Chi dice che via Padova è fuori controllo e in mano al crimine di solito non solo non abita qui, ma non conosce nemmeno la zona. Gli osservatori più lucidi se ne sono infatti accorti. Per esempio, Elena Viale, nel suo articolo scritto per Vice qualche mese fa (Siamo andati a vedere se via Padova è davvero la nuova Brooklyn di Milano) scrive:” Per un certo periodo della mia vita ho lavorato in una traversa particolarmente losca e particolarmente in fondo di via Padova, perciò i miei ricordi erano certo un po’ falsati, ma la prima cosa di cui mi rendo conto oggi è che a considerarla una zona buia di Milano sono soprattutto i non residenti”. Mentre Piero Colaprico, nel suo articolo di oggi su La Repubblica, sceglie di citare le parole di un poliziotto: “Passa una volante, il cronista conosce da tempo il capopattuglia, che riassume brutalmente così: ‘Se in questa strada caga un piccione, fa audience’”.
Non so cosa volesse fare il Sindaco Sala con le sue parole di ieri. Forse l’ha detta male, forse voleva dire esattamente questo o forse hanno ragione gli amici di Radio Popolare che sostengono che in realtà sono stati i media a montare il caso. Non lo so e comunque mi interessa fino a un certo punto, perché il problema è un altro, cioè che dopo anni a Milano è stata di nuovo riproposta quella narrazione tossica che avvelena l’aria che respiriamo e che rende tutto più difficile. È quella narrazione che va rovesciata. Altrimenti è più onesto fare come fece Gabriele Albertini, che unificò la delega alle Periferie e quella alla Sicurezza in un unico Assessorato.
E, beninteso, questo è un problema che riguarda tutta Milano, non solo via Padova.