Le forze di sicurezza della Nigeria, sotto il comando dall’esercito, hanno condotto una spietata campagna di esecuzioni extragiudiziali e atti di violenza che, dall’agosto 2015, hanno causato la morte di almeno 150 attivisti pacifici pro-Biafra nel sud-est del paese.
Lo ha denunciato Amnesty International in un rapporto basato su 87 video, 122 fotografie e un totale di 193 interviste (146 delle quali a testimoni oculari) riguardanti manifestazioni e altre iniziative organizzate tra l’agosto 2015 e lo stesso mese del 2016. I militari – si legge nelle conclusioni del rapporto – hanno sparato proiettili veri con scarso o nullo preavviso dell’intenzione di disperdere la folla.
Le forze di sicurezza, inoltre, si sono rese responsabili di esecuzioni extragiudiziali di massa, tra cui l’uccisione di almeno 60 persone nel giro di due giorni in occasione della Giornata della memoria del Biafra.
“La repressione mortale degli attivisti pro-Biafra sta esasperando la tensione nel sud-est della Nigeria. La sconsiderata tattica del ‘grilletto facile’ per controllare la folla ha provocato almeno 150 morti e temiamo che il totale effettivo possa essere assai più alto” – ha dichiarato Makmid Kamara, direttore ad interim di Amnesty International Nigeria.
“La responsabilità maggiore del bagno di sangue ricade sulla decisione del governo nigeriano di impiegare l’esercito per fronteggiare le iniziative pro-Biafra. Le autorità devono lanciare immediatamente un’indagine imparziale e chiamare i responsabili a rispondere” – ha aggiunto Kamara.
A partire dall’agosto 2015 i militanti e i simpatizzanti dei Popoli indigeni del Biafra (Ipob) hanno organizzato una serie di proteste, marce e riunioni per sollecitare la creazione di uno stato biafrano. La tensione è aumentata dopo che il 14 ottobre 2015 è stato arrestato Nnamdi Kanu, leader dell’Ipob, tuttora detenuto.
Esecuzioni extragiudiziali
Il maggior numero di attivisti pro-Biafra è stato assassinato il 30 maggio 2016, Giornata della memoria del Biafra, in occasione di una manifestazione di 1000 militanti e simpatizzanti dell’Ipob convocata a Onitsha, nello stato di Anambra. La notte prima dell’iniziativa, le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in abitazioni private e in una chiesa dove la gente stava dormendo.
Il 30 maggio le forze di sicurezza si sono rese responsabili di ulteriori uccisioni. Nel giro di due giorni, sono morte almeno 60 persone e almeno altre 70 sono state ferite. Il totale effettivo delle vittime, tuttavia, potrebbe essere assai più elevato.
Ngozi (non è il suo vero nome), una madre di 28 anni, ha raccontato ad Amnesty International che la mattina del 30 maggio suo marito, uscito per andare al lavoro, l’aveva chiamata da un mezzo militare dove, ferito all’addome, era stato caricato con altre sei persone, quattro delle quali nel frattempo morte.
“Ha abbassato la voce, dicendo che il veicolo si era appena fermato. Aveva paura che uccidessero lui e gli altri due ancora vivi. C’è stata una pausa, poi mi ha detto che si stavano avvicinando. Ho sentito al telefono i colpi di pistola e poi più nulla” – ha testimoniato Ngozi.
Ngozi si è messa alla ricerca del marito e alla fine ha trovato il suo cadavere in un obitorio. L’impiegato le ha rivelato che erano stati i militari a portare il cadavere di suo marito e gli altri sei corpi. Su quello del marito c’erano tre fori di proiettile, uno all’addome e due al petto.
Amnesty International ha esaminato le immagini di un raduno pacifico di militanti e simpatizzanti dell’Ipob all’Istituto nazionale di educazione superiore di Aba, il 9 febbraio 2016. I militari hanno circondato il gruppo e hanno aperto il fuoco con proiettili veri, senza alcun preavviso.
Secondo testimoni oculari e attivisti locali per i diritti umani, molti dei partecipanti al raduno di Aba sono stati portati via dai militari. Il 13 febbraio, in un fossato nei pressi dell’autostrada di Aba, sono stati rinvenuti 13 cadaveri, tra cui quelli di alcuni manifestanti che erano stati presi dai militari.
“È aberrante vedere come quei soldati abbiano ucciso pacifici militanti dell’Ipob. Il filmato dimostra che si è trattato di un’operazione militare con l’obiettivo di fare morti e feriti” – ha commentato Kamara.
Repressione mortale
Le testimonianze oculari e i filmati delle proteste, delle marce e dei raduni dimostrano che l’esercito nigeriano ha fatto volutamente ricorso alla forza mortale.
In molti dei casi descritti dal rapporto di Amnesty International, compreso il raduno alla scuola di Aba, l’esercito ha impiegato una tattica volta a uccidere e neutralizzare un nemico piuttosto che a garantire l’ordine pubblico durante iniziative pacifiche.
Tutte le manifestazioni dell’Ipob esaminate da Amnesty International sono state in larga parte pacifiche. In quegli sporadici casi in cui vi sono stati episodi di violenza, si è trattato soprattutto di reazioni alle sparatorie delle forze di sicurezza. Alcuni manifestanti hanno lanciato sassi, bruciato copertoni e, in un caso, aperto il fuoco contro agenti di polizia ma il livello di violenza usato contro intere manifestazioni resta ingiustificabile.
Amnesty International ha anche riscontrato centinaia di arresti arbitrari – anche di persone ricoverate in ospedale per le ferite – e di maltrattamenti e torture di detenuti.
Vincent Ogbodo (non è il suo vero nome), un commerciante di 26 anni, ha raccontato di essere stato ferito il 30 maggio 2016 a Nkpor e di essersi nascosto in un canale. Quando l’hanno scoperto, i soldati gli hanno gettato addosso dell’acido:
“Mi sono coperto il volto, altrimenti oggi sarei cieco. Mi hanno buttato l’acido sulle mani. Hanno iniziato a bruciare così come altre parti del corpo. La pelle bruciava. Mi hanno tirato fuori dal canale e hanno detto che sarei morto lentamente” – ha riferito l’uomo.
Un altro uomo portato nella base delle forze armate di Onitsha dopo le uccisioni del 30 maggio 2016 ha testimoniato: “I detenuti venivano frustati ogni mattina, i soldati lo chiamavano il tè del mattino”.
Nessuna azione per accertare le responsabilità
Nonostante le schiaccianti prove di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui esecuzioni extragiudiziali e torture, a carico delle forze di sicurezza nigeriane, le autorità non hanno avviato alcuna indagine.
Un sistema simile di impunità è stato riscontrato in altre parti della Nigeria, come le zone nord-orientali nel contesto delle operazioni contro Boko haram.
“Amnesty International ha più volte chiesto al governo nigeriano di avviare indagini indipendenti sulle prove di crimini di diritto internazionale. Il presidente Buhari ha ripetutamente promesso che i nostri rapporti sarebbero stati approfonditi. Tuttavia, non è stato preso alcun provvedimento concreto” – ha sottolineato Kamara.
Nei rari casi in cui un’indagine è stata aperta, non c’è stato alcun seguito. A causa dell’apparente mancanza della volontà politica necessaria per indagare e punire i responsabili, l’esercito continua a compiere impunemente violazioni dei diritti umani e gravi crimini.
Oltre alle indagini, Amnesty International chiede al governo nigeriano di assicurare adeguata riparazione alle vittime e ai loro familiari.
Infine, Amnesty International sollecita la fine dell’impiego dell’esercito nella gestione delle manifestazioni e garanzie che le forze di polizia siano adeguatamente istruite, addestrate ed equipaggiate per svolgere operazioni di controllo della folla in linea con gli standard e le norme del diritto internazionale. In particolare, le armi da fuoco non dovrebbero mai essere usate per controllare la folla.
Ulteriori informazioni
Il 30 settembre 2016 Amnesty International ha condiviso le conclusioni del suo rapporto con una serie di autorità nigeriane: il ministro federale della Giustizia, il procuratore generale federale, il ministro della Difesa, il capo di stato maggiore dell’esercito, il ministro degli Esteri, il ministro dell’Interno, l’ispettore generale di Polizia e il direttore generale dei Servizi per la sicurezza dello stato. Hanno risposto, neanche nel merito delle questioni sollevate nel rapporto, solo il procuratore generale e l’ispettore generale di Polizia.
L’Ipob svolge dal 2012 campagne per uno stato indipendente del Biafra. Quasi 50 anni fa, il tentativo di istituire lo stato del Biafra aveva dato luogo a una guerra civile durata dal 1967 al 1970.
Il rapporto “Nigeria: ‘Bullets were raining everywhere’ Deadly repression of pro-Biafra activists”
è disponibile all’indirizzo:
http://www.amnesty.it/nigeria-repressione-spietata-almeno-150-attivisti-pacifici-pro-biafra-uccisi-da-agosto-2015