Ormai la battaglia referendaria è agli sgoccioli: i sondaggi parlano di un vantaggio del No, ma le ultime performance internazionali dei sondaggisti (Brexit, elezioni USA) insegnano che è meglio non dare loro troppo ascolto. Non dobbiamo abbassare la guardia, anzi, sono proprio questi ultimi giorni quelli in cui dare corpo alle nostre motivazioni.
Del resto Renzi sta facendo l’impossibile per vincere, raccogliendo endorsement di tutto rispetto – basti pensare ai registi ed agli attori italiani che hanno firmato il documento per il Si – frutto dei suoi investimenti in esperti di comunicazione, per cui aspettiamoci qualche asso nella manica dell’ultima ora. La sua presenza mediatica è stata soverchiante, non solo nella figura del Capo, ma anche nella scelta delle controparti, che non hanno mai rappresentato (dai De Mita, ai Salvini, ma anche ai Landini) quanto effettivamente si sta muovendo sui territori.
Anche a Firenze si è potuto toccare con mano l’uso che il potente PD cittadino fa della città: un uso che si piega alla narrazione del governo, come dimostrato durante l’ultima Leopolda, quando una manifestazione autorizzata è stata bloccata poche ore prima del suo inizio (perché il dissenso non può essere mostrato oppure deve apparire mediaticamente violento e disturbante) e, con la chiusura della campagna referendaria del Si in piazza della Signoria, con una delibera in cui la giunta Nardella ha concesso la piazza, nonostante l’esito negativo della richiesta in commissione referendaria.
Queste dimostrazioni di forza sicuramente nascondono debolezza e timore per una battaglia referendaria in cui Renzi e i suoi si sono giocati tutto ma danno anche il senso di quanto sono disposti a fare pur di non perdere la posta in gioco.
Il dato interessante di questa campagna referendaria, però, è stato l’impegno e la voglia di partecipare di una fetta di società molto ampia, che porta istanze e necessità che non sono state rappresentate dalle “opposizioni ufficiali”: ad esempio nel caso della protesta di alcuni lavoratori dell’Ataf, che hanno manomesso i cartelloni per il Si sui loro bus. Ma anche volantinaggi, attacchinaggi, striscionate, cortei, videomessaggi, pubblicità autoprodotte, furgoncini con amplificazioni e macchine con trombe che giravano per le strade. Invasione di mezzi pubblici, metro, bus, con volantini, canzoni e gruppi di giovani che lanciavano messaggi; speakeraggi e iniziative di vario tipo, come quella di mettere dei cartelli – fumetti alle statue della città a favore del No (al David di Donatello: Scaglia un sasso contro Golia, vota No), sono partiti con entusiasmo e spontaneità, per cercare di diffondere, con parole semplici e parlando a quanta più gente possibile, le ragioni del No oscurate dallo spazio mediatico. Tutta questa attivazione molecolare ha cercato di rispondere a due dati di fatto: la lentezza e l’inefficienza delle strutture nazionali (per cui “se non ti muovi tu non ti salverà nessuno”) e la completa blindatura dello spazio mediatico.
Chi sono quelli che si sono attivati “spontaneamente” per il NO? Sono coloro che hanno pagato il prezzo delle politiche di austerity e che si erano già attivati prima del referendum per resistere all’attacco ed evitare uno scivolamento verso il basso delle proprie condizioni di vita. Ecco dunque apparire sulla scena i lavoratori che hanno lottato contro la privatizzazione dei servizi pubblici (autisti ATAF) il Jobs Act e la precarietà; i cittadini che hanno difeso il territorio dalle speculazioni (Assemblea della Piana; Mamme No Inceneritore, etc.) e che al contempo si sono battuti contro i tagli alla Sanità Pubblica. Sono loro, siamo noi la vera novità di questo referendum, noi che abbiamo compreso senza bisogno di troppe analisi tecniche l’essenza storica della riforma costituzionale, che si incarica di blindare un esecutivo forte dietro il feticcio della “governabilità”, pur di arginare eventuali forme di organizzazione del dissenso presente nel Paese.
Una campagna così condotta ha avuto il merito di entrare nelle corde della maggioranza della popolazione, che istintivamente, prima ancora che i costituzionalisti si pronunciassero, si è orientata verso il NO alle classi dominanti – che infatti appoggiavano la riforma, come hanno dimostrato le prese di posizione di personalità come Farinetti, Marchionne o J.P. Morgan. D’altronde nessuno vuole più sentire parlare di austerity: lo dimostrano i comportamenti elettorali degli ultimi 3 anni (il 25% del Movimento 5 stelle nel 2013; il paradossale voto alle Europee per Renzi nel 2014, spinto in alto dagli 80 euro che veniva presentato come “misura per la crescita”, quindi paradossalmente anti-austerity; e la perdita inesorabile di consenso per il PD nell’ultima tornata elettorale alle amministrative); ma lo dimostrano anche i discorsi pubblici della classe politica che (forse con l’eccezione del solo Monti, che in quanto “tecnico” rappresenta senza mediazioni l’ideologia delle classi dominanti), non pronunciano più il termine odioso di “austerità”.
In questo contesto riuscire a creare momenti di unità e di condivisione, come la serata del 1° dicembre in Piazza della Repubblica è vitale. Non solo perché dà risalto a un generico No, ma perché ci mette in connessione, ci dà la possibilità di pesarci in quanto forza unita, dà alla Firenze e all’Italia “sociale e popolare” un carattere non residuale, ma mostra la capacità di dare un segnale politico a tutto il Paese, di essere sintonizzata con la maggioranza sociale che non ne può più dello status quo – pienamente rappresentato dal fronte del SI – e vuole cambiare. Quello che nell’immediato dobbiamo fare è dunque attivarci subito per contattare chi ha espresso vertenze importanti sul territorio – pensiamo ai lavoratori, ai comitati territoriali della provincia, agli esclusi dal sistema sanitario – e far pesare la loro presenza sia in piazza, sia il giorno delle votazioni, quando si tratterà di portare quanta più gente possibile a votare NO.
Cosa succederà il 5 dicembre?
Proviamo a ragionare insieme cercando di capire cosa potrebbe succedere l’indomani del 4 dicembre, al di là dei rischi di autoritarismo che implicherebbe una Costituzione revisionata.
Se vincesse il SI, Renzi potrebbe decidere di andare alle urne, per capitalizzare il risultato e provare ad ottenere quella legittimazione popolare che non ha mai avuto, rischiando però di perdere al ballottaggio dove il risultato non è poi così scontato. Potrebbe anche decidere di restare al potere fino al 2018, affrontando però una situazione economica che si prevede tutt’altro che rosea, alla quale le sue ricette hanno dimostrato di apportare più problemi e contraddizioni, piuttosto che risolverne. Rischierebbe insomma o di perdere, o di logorarsi.
Se vincesse il NO, Renzi potrebbe provare a restare al potere fino al 2018, ma a quel punto dovrebbe mediare molto con la minoranza interna al suo partito, rinvigorita dal risultato, e in più dovrebbe affrontare una perdita di consenso nel Paese reale, il che lo esporrebbe a contestazioni continue e ad un logorio accelerato. Se poi decidesse di andare alle urne nella primavera prossima, dovrebbe in ogni caso mediare con la minoranza del partito nella scelta delle liste e degli incarichi, perdendo la sua caratteristica principale: quella di un uomo molto uso al comando, e poco uso al compromesso da vecchia politica. Questo lo abbiamo già visto con il Governatore campano De Luca: pur di racimolare voti per il SI, Renzi ha dovuto lasciare mano libera al proprio alleato ed ai suoi metodi clientelari – ci riferiamo al voto di scambio nel settore sanitario privatizzato – producendo una norma pro De Luca e nominandolo commissario per la sanità campana (!). Non un bell’esempio per chi fino a ieri ha cavalcato la retorica della rottamazione.
Insomma, comunque la si metta, per il Presidente del Consiglio la situazione potrebbe delinearsi come un’alternativa lose-lose, che poi è una prospettiva lose-lose per le classi dominanti e per il loro – almeno per il momento – candidato favorito. In questo orizzonte la campagna popolare, specularmente, che si vinca o che si perda, potrebbe portare a dei risultati inediti. Se infatti, per quanto si è detto, la novità di questo referendum siamo proprio noi e i nostri, è importante, anzi, necessario, all’indomani della consultazione e comunque vada, non perdersi di vista. Sia che si tratterà di far cadere un potere già traballante, sia che si tratterà di riorganizzarsi per difenderci dalle prossime controriforme e dai prossimi tagli, è importante non lasciare che il NO venga capitalizzato dai Grillo o dai Salvini di turno, ma far valere le intelligenze e l’unità collettive messe in campo.
Vada come vada, il punto che pensiamo abbia posto all’ordine del giorno questa campagna referendaria, il punto che ci hanno posto le migliaia di persone incontrare in questi mesi, è la costruzione di un’alternativa, di un soggetto a sinistra, di un movimento, una piattaforma, un’organizzazione in grado almeno di intercettare la domanda di cambiamento (fine dell’austerità, giustizia sociale, etc.) e allo stesso tempo di stabilità, di credibilità, di sicurezza, di un’antropologia non basata sull’odio o sul vaffanculo.
È un passaggio stretto, ma è possibile. Ecco che cosa bisogna sognare!
Nel frattempo, incentiviamo gli sforzi in questi ultimi giorni, per giocarci la partita fino in fondo: difendere la Costituzione nata dalla Resistenza e dalle pratiche di democrazia popolare, far capire alle classi dominanti che non hanno il nostro consenso, far cadere il Governo, destabilizzare la borghesia e mettere ipoteche sui futuri governi che verranno, che dovranno fare i conti con noi e con un vero fronte popolare, che farà pesare, per la prima volta dopo tanto tempo, le nostre esigenze!
*Clash City Workers