l Baobab è un non luogo, un’immensa struttura senza tetto, senza finestre, senza mura né un fuoco cui stringersi attorno la sera. Al Baobab non ci sono porte per entrare né letti su cui riposare. Eppure si sente un’aria di casa, proprio lì, al freddo, in mezzo alla strada, sull’asfalto bagnato di pioggia col gelo che scende.
Questa è la non realtà, il non luogo in cui le anime si danno la mano e si ricordano che siamo un unico, immenso essere vivente. Il Baobab è fatto di mura pulsanti, di sorrisi che accolgono, di parole e sguardi attenti. E’ tutto così naturale. Perché non c’è nulla se non esseri umani che costruiscono giorno dopo giorno, con il loro lavoro e la loro presenza un’accoglienza fatta di semplice umanità e ascolto. Li guardo tutti. Seduti, calmi, assorti, ordinati. Parlo con A., 23 anni, eritrea, una bambina di un anno e mezzo che le dorme addosso. Quattro mesi di viaggio, venti giorni nel deserto del Sahara, ora da una settimana qui. Mi parla e non smette di sorridere mentre racconta la sua traversata da sopravvissuta all’inferno. Mentre le guardie all’entrata della stazione difendono il progresso, l’ordine, la rispettabilità e la nostra sicurezza, fuori c’è il mondo che pulsa di vita e di umanità.
Incontriamo Nadim Ounali, uno dei volontari che ogni giorno, da un anno e mezzo, cercano di aiutare concretamente i migranti in transito in arrivo a Piazzale Spadolini, a Roma, proprio alle spalle della stazione Tiburtina.
Che cos’è Il Baobab Experience?
E’ un’associazione di volontari nata e cresciuta dal basso. Cittadini e cittadine che hanno capito che esiste un problema serio, quello dell’accoglienza del migrante in transito che non ha alcun tipo di copertura logistica, legale o medica. Questi volontari hanno deciso di occuparsi di loro.
Da dove vengono i migranti in transito e dove sono diretti?
Vengono soprattutto da Eritrea ed Etiopia, ma anche dal Sudan e dagli altri paesi dell’Africa Subsahariana. Ricordo che in Eritrea vige una dittatura atroce, assimilabile forse soltanto a quella della Corea del Nord: lavori forzati, repressione, servizio militare a tempo indeterminato. Dall’Etiopia arrivano soprattutto i migranti di etnia Oromo, perseguitati dal governo. Si ricorderà l’atleta etiope Feysa Lilesa ai Giochi Olimpici di Rio che arrivò secondo al traguardo facendo il gesto delle manette. Lilesa è di etnia Oromo. Arrivano anche dal Sudan fuggendo dalla guerra civile, fame e carestia. Il Darfur fa parte del Sudan. Possiamo immaginare quindi molto bene che tipo di background abbiano le persone che arrivano da noi. Il loro viaggio è lungo e sulla loro strada incontrano briganti, soldati, trafficanti di uomini. Sono costretti a subire violenze. Di solito arrivano in Libia dove trovano torture, prigioni e una situazione di totale caos perché al momento non ci sono istituzioni consolidate in quel paese. L’ultima parte, niente altro che la punta dell’iceberg è la traversata sui barconi. I superstiti arrivano da noi.
Cosa succede nei primi centri di accoglienza una volta sbarcati?
Vengono identificati, spesso vengono prese le impronte digitali, senza alcuna fotografia, però. Questo pone il problema delle identificazioni successive. Vengono spesso fermati, portati in questura e costretti alle stesse identiche procedure. Inutilmente.
Dalla Sicilia come arrivano a Roma?
Usano i pochi soldi che hanno per continuare il viaggio verso nord. Il loro obiettivo è il Nord Europa dove ci sono spesso membri delle loro famiglie ai quali si ricongiungono.
Come riescono a restare sul territorio italiano e a non essere rimpatriati?
Sono dei migranti in transito e alla loro grande maggioranza non interessa rimanere nel nostro paese. L’Italia ha degli accordi di rimpatrio solo con un numero determinato di paesi. Detto ciò va messo in rilievo che fuggono spesso da dittature e situazioni al limite del disumano. Chi decide di chiedere protezione internazionale in Italia ha, invece, un percorso diverso. Questi migranti possono chiedere lo status di rifugiati. Gli eritrei per esempio potrebbero chiedere tutti questo status ma chi non lo fa è spesso perché vuole raggiungere la propria famiglia o la propria rete di conoscenze in Nord Europa. Rimpatriarli, inoltre, significherebbe per molti di loro morte certa o mettere in pericolo anche la loro famiglia. In Eritrea il periodo di leva è obbligatorio a tempo indeterminato quindi sono considerati disertori. Dall’Eritrea queste persone attraversano il Sudan, il Ciad, la Libia. E’ tutto deserto del Sahara e alcuni di loro non hanno mezzi, vanno a piedi. Nel deserto, oltre la fame, la sete e il viaggio della disperazione, c’è un altro fenomeno preoccupante: il brigantaggio. Molti migranti ne sono vittime.
Chi li aiuta?
Nessuno. Esiste una sorta di Tam Tam: spesso da quando partono, sanno (attraverso chi abbiamo già avuto come ospite) che vicino alla stazione Tiburtina, a Roma, ci sarà qualcuno che li aiuterà a continuare il loro viaggio verso Nord.
Quando si parla del Baobab, ci si immagina una vera e propria struttura di accoglienza. Dov’è la vostra sede?
Fino a un anno e mezzo fa esisteva una struttura gestita da una cooperativa. Adesso, però, non esiste più e ci teniamo a differenziarci rispetto ad essa. Magari avessimo una sede fisica dove poter accogliere e assistere i migranti in transito! Al momento questa sede non ce l’abbiamo, siamo all’aperto, per la strada. Malgrado ciò proviamo a dare assistenza logistica, medica, legale, culturale e psicologica alle persone che arrivano qui e aiutarle nel loro viaggio. Hanno bisogno di tutto e noi li assistiamo come possiamo: fornendo tre pasti al giorno, abiti puliti, assistenza medica, legale, culturale e psicologica perché queste persone hanno subito traumi profondi. Le donne arrivano spesso incinte. Pochi sanno, però, che si tratta spesso di gravidanze causate dagli stupri che queste ragazze subiscono durante il loro viaggio o il loro soggiorno forzato in Libia.
Perché non avete usato la stessa struttura rimasta vuota del vecchio Baobab?
Le mura della struttura di Via Cupa sono di proprietà privata, quindi non possiamo utilizzarla. Al momento è anche una struttura totalmente abbandonata, in un serio stato di degrado igienico-sanitario e, di conseguenza, anche inagibile.
Che cosa avete fatto, allora?
In un primo tempo, e per quasi un anno, ci siamo messi per strada a Via Cupa con delle tende, dei gazebo e degli armadi per conservare vestiti, cibo, medicinali e altri materiali. Il 30 settembre 2016 siamo stati sgomberati dalle forze dell’ordine da Via Cupa che ha portato anche un centinaio di migranti all’ufficio stranieri per l’ennesima identificazione. Ci siamo quindi trasferiti a Piazzale del Verano per qualche settimana fino all’ennesimo sgombero delle forze dell’ordine. Adesso siamo a Piazzale Spadolini ma anche qui veniamo spesso sgomberati. Il motivo ufficiale dei continui sgomberi è per il “decoro cittadino e ripristino della legalità”, come se offrire un piatto di pasta, una tenda, una visita medica, un assistenza legale, due chiacchiere, un paio di tiri a pallone, un sorriso e un abbraccio fossero degli elementi di turbativa del decoro urbano o una minaccia seria alla legalità. Ora noi non chiediamo di meglio che poter agire in un contesto di legalità piena, e pensiamo di farlo visto che non consideriamo che allestire un paio di tende o offrire un piatto di pasta sia illegale. Voglio solo ricordare che fino a pochi anni fa il solo avvicinarsi al muro di Berlino (per non parlare dell’abbatterlo) era illegale. Poi abbiamo visto com’è finita. Secondo me ci sono dei momenti storici in cui l’emergenza (umanitaria, di giustizia, di ambizione alla libertà ,ecc,) può e deve prevalere sulla comune applicazione cieca e acritica delle norme. E se vogliamo dirla tutta, è la stessa nostra Costituzione che ci dà il diritto-dovere alla protezione delle persone che fuggono da stati totalitari. Dopo cinque sgomberi, mi viene da pensare che l’obiettivo, non troppo celato, di certi responsabili istituzionali è rendere queste persone degli invisibili, farli andare via, sparpagliarli per la città o per l’Italia senza offrire nessuna alternativa all’accoglienza che forniamo, sempre a titolo volontario, organizzandoci dal basso tra cittadine e cittadini.
Quanto tempo rimangono i migranti che arrivano al Baobab?
Di norma rimangono pochi giorni, il tempo di rifocillarsi, riposarsi, avere un cambio di vestiti, una doccia, e ricevere ulteriore denaro dalle loro famiglie per proseguire il viaggio.
Da quanto tempo esiste il Baobab Experience e quanto migranti in transito sono passati da voi?
In un anno e mezzo di vita ci siamo occupati di circa 60.000 persone. Ogni giorno sono presenti dai 100 ai 200 migranti. Stimiamo comunque che il numero potrebbe essere maggiore se avessimo una sede fisica dove poterli accogliere.
Vi siete rivolti al Comune di Roma?
Sì, già dalla gestione Marino. Con la nuova giunta siamo stati chiamati per un tavolo tecnico nei primi di luglio. Ci promisero di trovare una soluzione transitoria entro 7, massimo 10 giorni, ed entro poche settimane una soluzione definitiva. L’assessore alle Politiche Sociali si dimostrò inizialmente molto disponibile. Ricontattammo l’assessora di continuo fino al mese di settembre quando dichiarò che non potevea fare nulla. Recentemente l’assessora ha dichiarato anche Baobab è una “realtà inesistente”. Il 12 novembre abbiamo fatto una manifestazione di fronte alla Prefettura per chiedere la fine degli sgomberi e speriamo che qualcuno ci dia ascolto. Spesso mi chiedo perché il Comune di Roma, con l’immenso patrimonio immobiliare in suo possesso, con tutti i locali in disuso, abbandonati, vuoti e inutilizzati non è in grado di trovare un locale adatto ad accogliere i migranti in transito.
Che cosa chiedete?
Chiediamo almeno di non essere sgomberati. Almeno che non ci vengano messi i bastoni fra le ruote visto che sopperiamo volontariamente e dal basso ai compiti delle istituzioni completamente assenti.
Chi sono i volontari?
Qualche centinaio di romani che sono sul campo ma c’è una rete di aiuto molto estesa. Fornai, fruttivendoli, negozianti che ci aiutano regalandoci l’invenduto di cibo fresco, famiglie che ci regalano abiti e oggetti utili. Save The Children è un’organizzazione presente insieme a noi e che si occupa di aiutare i bambini e le loro mamme cercando una sistemazione temporanea presso strutture idonee. Ci sono volontari medici ed associazioni come MEDU (Medici per i Diritti Umani) che si occupano dell’assistenza medico-sanitaria e un team legale di avvocati volontari che si occupa di fornire assistenza legale ai migranti in transito.
Quali sono i vostri prossimi passi?
Continuare a cercare l’attenzione dell’assessore alle Politiche Sociali, Laura Baldassarre. Noi chiediamo di risolvere un problema che si fa finta di non vedere e che c’è massima urgenza di risolvere. Un locale che permetta un’accoglienza dignitosa per i migranti, di potergli offrire un posto letto all’asciutto, non all’aperto sotto la pioggia di questi giorni, e di poter continuare ad offrirgli ciò che abbiamo imparato a fare da ormai più di un anno e mezzo: offrire ai migranti in transito 3 pasti al giorno, assistenza medica, legale, psicologica, culturale e fargli ritrovare un sorriso dopo mesi di sofferenze e privazioni. In parole povere, vorremmo offrire una soluzione dignitosa per i migranti in transito.
Come rispondi a chi vi dice che in questo modo si aiutano dei potenziali terroristi? E’ possibile che ve ne siano tra le persone che transitano al Baobab?
In linea teorica è tutto possibile ma stiamo ai fatti. Da quando è iniziato il grosso del fenomeno migratorio quanti casi si sono verificati? A quanto mi risulta, zero. Faccio notare che i terroristi responsabili delle stragi di Parigi o Bruxelles sono figli dell’Europa, nati e cresciuti nel vecchio continente, quindi, pur capendo le giuste preoccupazioni di sicurezza generale, penso che l’attenzione si dovrebbe rivolgere da altre parti. Fermare l’onda delle migrazioni è ridicolo visto che questo fenomeno esiste da quando esiste l’uomo. E se tutti gli italiani residenti all’estero volessero tornare in Italia? Si tratta di qualche decina di milioni di persone. Queste persone, migranti in transito, che assistiamo passano da noi e nella grande maggioranza dei casi non vogliono rimanere in Italia. Ad ogni modo Roma è una città di 3 milioni di abitanti, è la capitale d’Italia e non posso realmente pensare che accogliere poche centinaia di persone in transito sia un problema irrisolvibile. Stiamo veramente parlando di poca cosa.
Il problema delle ondate migratorie però rimane.
Nessun migrante lascia il suo paese perché vuole farlo. Su uno dei muri del vecchio Baobab c’era una scritta che risponde bene a questa domanda: Excuse me Mama Africa for I left you, but I promise one day I will come back. L’Africa soffre, tra l’altro, di un problema economico e di redistribuzione delle ricchezze serissimo. Gli europei, i cinesi, gli americani continuano a sfruttarne le risorse. Spesso gli stati europei vendono anche armi e sistemi di repressione a queste feroci dittature, non si può cadere dal pero e chiedersi come mai queste persone siano qui.
Dal punto di vista umano che cosa ha dato a voi volontari questa esperienza?
Vediamo i primi sorrisi di gente che non sorride da mesi, il ritorno umano è per noi enorme. Quando arrivano al Baobab è una sorta di tappa serena, un’oasi in cui sanno che qualcuno li accoglie con fiducia e disponibilità. Per qualcuno è un punto di ritrovo delle famiglie stesse che si danno appuntamento qui a Roma per poi ripartire insieme. Ci ricompensa sapere che sono arrivati a destinazione, quando ci chiamano per dirci che stanno bene. Ci arricchiscono raccontandoci le loro esperienze, le loro storie, cantandoci le loro canzoni e rimaniamo spesso in contatto attraverso i social network quando ripartono per il Nord Europa. Quello che stiamo vivendo in questi tempi è un fenomeno epocale che finirà sui libri di storia. Vorremmo poter dare una risposta ai nostri figli e ai nostri nipoti quando ci chiederanno “Ma tu all’epoca dov’eri? Che facevi?”.
Chi volesse mettersi in contatto con voi o aiutarvi, cosa può fare?
Può contattarci attraverso la nostra pagina FB Baobab Experience.