Gabriele Del Grande è un nome che dà fiducia. Una fiducia costruita in anni di contributi credibili sul tema delle migrazioni e dei conflitti, attraversando gavette faticose e investendo competenze e professionalità per un impegno giornalistico di grande spessore. Fondatore di Fortress Europe, scrittore e regista, quando lancia una proposta, ormai lo abbiamo capito, Gabriele raccoglie in tempi record il sostegno di molti. Non solo perché ha un viso pulito e una penna schietta, non solo perché si spende per informare su quelle storie di sofferenza e coraggio che passerebbero altrimenti sotto silenzio, sovrastate dai toni da rotocalco scandalistico di gran parte dei media.
Gabriele trova il supporto di molti anche per la serietà e la trasparenza con cui vengono gestite le sue iniziative di crowdfunding, che fanno incontrare quelle persone che dal basso possono decidere quale informazione e quali progetti finanziare. Lo ha dimostrato con successo l’esperienza di #iostoconlasposa, “un film documentario ma anche un’azione politica”, ideato e realizzato insieme a Khaled Soliman al Nassiry e Tareq Al Jabr e prodotto grazie a più di 2600 donazioni.
Ora la sfida che Del Grande ha lanciato è un’altra: un libro, che vuole raccontare “attraverso l’epica della gente comune” la guerra in Siria e la nascita dell’ISIS. Geopolitica e storytelling insomma, perché anche le storie vanno salvate. Far morire una storia una volta vuol dire lasciarne morire due volte il protagonista, vuol dire abbandonare la memoria collettiva, vuol dire rinunciare alla convinzione che le parole abbiano il potere di mantenere viva l’attenzione e la solidarietà. E di questo sono in molti ad esserne convinti, se nella sola prima settimana di crowdfunding per il libro sono stati raccolti oltre 16.800 euro da più di 500 donatori: saranno loro gli editori che renderanno possibile la realizzazione del suo nuovo progetto di giornalismo narrativo.
Ricerche sul campo e incontri riempiranno i prossimi mesi di Del Grande, lungo un itinerario che lo porterà dalla Turchia al Libano, dalla Siria all’Iraq, dalla Tunisia alla Libia. Una sorta di laico pellegrinaggio tra le macerie di un mondo interconnesso, dove la sconfitta di ciascuno è la sconfitta di tutti, ma anche dove le speranze hanno ancora la forza per moltiplicarsi e diffondersi, soprattutto grazie agli sforzi di chi non tace e anzi dà voce ai silenzi rimasti sotto le bombe. “Credo che i nostri destini siano legati da due punti di vista” – racconta infatti in un’intervista all’Huffington Post: lo sono da un punto di vista di prossimità geografica e di umanità nata e cresciuta su rive opposte di un Mediterraneo comune, ma lo sono anche da un punto di vista politico. “Sono convinto che la risposta vada cercata qualche anno addietro, nella feroce repressione del movimento di protesta contro la dittatura del 2011, nell’interventismo militare di tutta una serie di paesi della regione e nella parallela rinascita dalle ceneri dello Stato Islamico nell’Iraq di Al-Maliki”.
Sarà un viaggio lento, che raccoglierà storie come le maree, portandole lontane e ritornando a trovarle: un primo esempio è già sul sito di Produzioni dal basso ed è la voce rotta dalle lacrime e dalla disperazione di un partigiano siriano di Aleppo, consumato dal rumore dei bombardamenti e dei cattivi presentimenti: “La verità, Gabriele, è che morirò invano. Perché mio figlio mi tradirà! Sarà solo a piangere sulla mia tomba e per vendicare il mio sangue e il sangue di mezzo milione di morti di questa guerra maledetta, verrà a seminare la morte in Europa. E quando si farà esplodere in un aeroporto e ucciderà i tuoi figli, tu non potrai biasimarlo perché siete rimasti indifferenti per anni mentre qua massacravano noi.”
Un senso di impotenza che, nonostante il successo dell’esperienza di Io sto con la sposa, mal viene tollerato da Del Grande, perché il rosso del red carpet riflette il rosso del sangue che inonda le gravi decisioni internazionali, assorbendo l’indifferenza di chi decide del destino di molti senza però conoscerne neanche in minima parte le storie. “La guerra era uscita dai confini della Siria. Il sangue aveva portato altro sangue.” Ecco allora la cosa che, per un giornalista, appare come la più sensata: salvare proprio quelle storie taciute e vere, contribuendo ancora una volta a “tenere in piedi un orizzonte verso cui camminare, a tramandare un discorso sull’umanità di questo nostro Mediterraneo, sulle sue sfumature, la sua storia e il suo futuro possibile, in cui riconoscerci.”
Se ci fossero ancora dubbi sul perché valga la pena sostenere il progetto di Gabriele, in questo video a quei dubbi si troverà risposta. Contribuire anche in minima parte alla realizzazione di questo progetto è il passo successivo che ciascun@ di noi può fare, a scardinare la noncuranza di giornali ed editori che, in un paese “anormale” come l’Italia, voltano invece lo sguardo altrove.
Anna Molinari
https://www.produzionidalbasso.com/project/un-partigiano-mi-disse/