Tiriamo un sospiro di sollievo: Imdad Ali, il cittadino pachistano condannato a morte nonostante fosse e sia tuttora affetto da schizofrenia paranoide, non sarà impiccato il 2 novembre. Forse non lo sarà mai più. Ali ha iniziato a star male nella seconda metà degli anni Novanta. Il padre soffriva a sua volta di schizofrenia: una volta si era lanciato contro un treno, pensando di essere invincibile.
Per anni, la famiglia aveva chiesto aiuto per pagare le medicine necessarie per curare Ali. Fino a quando, nel 2002, in una fase acuta del suo disturbo mentale, Ali uccise uno studioso di religione. Dopo la condanna a morte, gli esami medici cui Ali è stato sottoposto sono giunti tutti alla medesima conclusione: il prigioniero è “insano di mente” e la sua condizione mentale è “cronica e disabilitante”.
Del resto, le stesse autorità del carcere dove era in attesa dell’esecuzione avevano riconosciuto la sua situazione tenendolo per tre anni in isolamento nel reparto ospedaliero. Tuttavia, negli ultimi giorni la Corte suprema aveva dato il via libera all’esecuzione sostenendo che la schizofrenia non è espressione di un disordine mentale. Subissata di appelli da ogni parte del mondo, ci ha ripensato oggi, 31 ottobre.
Nella seconda metà di novembre il Justice Project Pakistan difenderà Ali in una nuova udienza per decidere la sua sorte. Oggi anche il governo del Punjab, lo stato di origine di Ali, ha chiesto che la condanna a morte sia annullata.