Question time alla Camera, 26 ottobre 2016: il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha risposto (malamente) a un’interrogazione del Movimento 5 stelle. Le domande erano: chi ha autorizzato l’export di armi dall’Italia ai Saud? e quando? e se dopo 19 mesi di bombardamenti sauditi sullo Yemen – con innumerevoli crimini di guerra e oltre seimila morti civili -, questo rapporto militare non va forse rivisto?
Nella sua risposta, Gentiloni ha precisato che Usa, Francia, Regno unito e Germania esportano a Riad più di noi. Insomma: c’è chi è più assassino di altri.
Ha poi spiegato: “L’export di armamenti è regolato dalla legge 185. La risposta a ciascuna istanza di esportazione viene fornita, dopo il parere di diversi ministeri, dall’autorità nazionale Uama. Nel caso specifico dell’Arabia saudita, le licenze di esportazione richieste da imprese italiane sono valutate in modo particolarmente rigoroso e articolato, caso per caso, sulla base delle norme italiane, europee e internazionali. (…) La RWM, ditta italiana facente parte di un gruppo tedesco, ha esportato in Arabia saudita in forza di licenze rilasciate in base alla normativa vigente. L’Arabia saudita, a differenza di paesi come ad esempio la Libia o la Siria, non è infatti oggetto di alcun embargo, sanzione, restrizione nel settore internazionale delle vendite di armamenti”.
Dunque, vari ministeri sono responsabili della complicità italiana con Riad. Quanto all’Uama, è l’Unità per l’autorizzazione dei materiali di armamento e appartiene al ministero degli esteri. In effetti il ministro della difesa Pinotti settimane fa aveva scaricato sul ministero degli esteri la responsabilità delle autorizzazioni all’export Ora Gentiloni ci spiega che solo decisioni Onu od europee potrebbero indurre l’Italia a rivedere il partenariato militare con l’Arabia saudita.

Ma la risposta di Gentiloni è sbagliata, oltre a ignorare la richiesta di embargo a Riad da parte del Parlamento europeo. La legge 185 che egli cita è legge nazionale da applicare in ogni caso. E vieta l’esportazione (e il transito) di materiali di armamento verso a) paesi che violino i diritti umani e/o b) si trovino in stato di conflitto armato in contrasto con l’articolo 51 della Carta dell’Onu.
Qui si impongono due osservazioni che smentiscono il ministro (e gli altri complici governativi).
L’articolo 51 della Carta dell’Onu prevede il diritto di autodifesa individuale e collettiva. L’Arabia saudita e gli altri paesi della coalizione che bombarda lo Yemen (senza autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza Onu ex capitolo VII Carta Onu) sostengono di essere stati chiamati dal presidente yemenita legittimo Abbo Mansour Hadi. Ma la legittimità di Hadi è discutibile (anche se la risoluzione 2216 del Consiglio di sicurezza l’ha confermata). Hadi era diventato presidente a interim il 21 febbraio 2012, per un mandato provvisorio di due anni. Nel febbraio 2014 avrebbero dovuto tenersi nuove elezioni, ma un mese prima la Conferenza per il dialogo nazionale, ne quadro dell’Iniziativa delle monarchie del Golfo, estese il mandato di Hadi per un altro anno, in modo probabilmente arbitrario. In ogni caso, il nuovo mandato di Hadi terminava nel febbraio 2015. Con l’arrivo a San’a dei ribelli Houti, il 20 gennaio 2015 Hadi si dimette, e il 20 febbraio 2015 fugge prima ad Aden poi a Riad. La guerra iniziava il 26 marzo 2015. Hadi era fuori mandato e dimissionario.
La seconda osservazione è che la 185 si riferisce anche a violazioni gravi dei diritti umani. La guerra in Yemen, sia essa legittima o no a norma dell’art 51 della carta Onu, è illegale a norma del diritto internazionale umanitario (Convenzioni di Ginevra) riguardo alla condotta delle attività militari: i crimini di guerra sono vietati, ministro…

 

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