A breve tutti gli elettori saranno chiamati a pronunciarsi nel referendum costituzionale, previsto dall’art. 138 della Carta: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
C’è un passaggio molto significativo nella sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale, che annulla alcune parti della legge elettorale (detta “porcellum”): “Le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione tipica ed infungibile» (sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.)”.
Proprio perché il Parlamento svolge queste delicate funzioni, la Consulta ha censurato la precedente legge elettorale, a causa di “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali”.
È il caso di ricordare che Paolo Rossi, relatore in Assemblea Costituente sulla revisione costituzionale, avanzava persino il dubbio che “in un paese dove vigesse il collegio uninominale, una maggioranza qualificata di due terzi potrebbe eventualmente non rispondere alla maggioranza reale del paese”.
Il che mette in evidenza lo stretto nesso che esiste tra legge elettorale e sovranità popolare. A questo proposito, Tania Groppi, la curatrice della voce relativa all’art. 138 del “Commentario alla Costituzione”, scrive: “I costituenti muovevano dalla considerazione dell’esistenza di un sistema elettorale proporzionale. La dottrina, negli anni successivi al 1993, ha più volte rilevato l’urgenza di un innalzamento del quorum, in funzione di garanzia della rigidità costituzionale, ma il problema è passato in secondo piano di fronte alla volontà delle maggioranze politiche di procedere a realizzare le proprie riforme”.
Anzi, negli ultimi decenni non sono mancati i progetti di riforma che tendevano a ridurre le garanzie previste dalla Costituzione, attraverso deroghe a quanto previsto dall’art. 138. In questa prospettiva si inserisce anche il messaggio al Parlamento del 26 giugno 1991 dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che teorizzava una grande riforma costituzionale attraverso il superamento dell’art. 138 e che proprio per questa ragione fu considerato un caso da manuale di attentato alla Costituzione.
Tra i costituzionalisti è sempre vivo il confronto sull’ampiezza delle eventuali revisioni, che per alcuni dovrebbero essere alquanto limitate se non addirittura “puntuali”. Anche in questo caso ci sono autorevoli pronunciamenti già nel dibattito della Costituente. Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea, affermò che ci si dovesse limitare a revisioni parziali. Luigi Einaudi, in relazione al referendum costituzionale, disse: “Solo nel caso che le Camere propongano una sola riforma alla volta e in maniera chiara, in modo che gli elettori si rendano conto di quello che sono chiamati a votare”. Purtroppo la prudenza e le indicazioni dei Costituenti non sono state tenute in considerazione dai novelli riformatori, che si sentono interpreti della volontà popolare, ma che si dimostrano poco attenti alla necessità che i cittadini possano esprimere un voto consapevole.
Nel già citato “Commentario alla Costituzione” Tania Groppi segnala anche la “degenerazione nell’utilizzo dell’art. 138 cui si è assistito nel nuovo millennio, attraverso la realizzazione di ampie riforme sostenute soltanto dalla maggioranza di governo: in tal modo, come la dottrina non ha mancato di sottolineare, si nega l’essenza stessa della Costituzione italiana, ovvero il suo carattere pattizio e consensuale”.
In altre parole, le Costituzioni sono patti che nascono da accordi così rilevanti che anche il loro aggiornamento richiederebbe un consenso ampio e trasversale. Le forzature di una parte (anche se fosse maggioritaria) creano inevitabilmente lacerazioni politiche e del tessuto comunitario, sicuramente negative per tutti i cittadini che dovrebbero sentire come propria la Carta costituzionale.
Per rispettare le “delicate funzioni” della garanzia costituzionale il coinvolgimento e il consenso di tutti i principali attori della rappresentanza politica è una premessa indispensabile. L’unilateralità di un tentativo di riforma delle regole del gioco ne pregiudica fortemente l’esito.