Il 17 ottobre Mohamedou Ould Slahi è tornato nel suo paese di origine, la Mauritania, da cui mancava da 14 anni: un periodo di tempo trascorso nel centro di detenzione statunitense di Guantánamo Bay, senza mai essere accusato, né tanto meno processato.
Nessuno risarcirà Mohamedou Ould Slahi per questi 14 anni di detenzione arbitraria e illegale, un destino che lo accomuna a centinaia di altre persone trattenute a Guantánamo per anni, a volte per più di un decennio, senza essere incriminate.
Nel 2015, attraverso il suo avvocato, Slahi ha raccontato l’inferno di Guantánamo: costretto a non dormire per 70 giorni, sottoposto a luce intensa, a temperature gelide, a docce d’acqua fredda e a musica heavy-metal ad altissimo volume, minacciato coi cani, picchiato, privato del cibo.
A Guantánamo, il simbolo dell’illegalità della cosiddetta “guerra al terrore” che il presidente Obama aveva promesso di chiudere nel 2009 e che non riuscirà a chiudere entro la fine del suo attuale mandato, restano ancora 60 detenuti: per un terzo di loro è stato già disposto il rilascio e sono in attesa del trasferimento.
Dei 779 terroristi passati per Guantánamo dal 2002, uno su 100 è stato condannato (da commissioni militari illegittime, peraltro); le amministrazioni Bush e Obama ne hanno rilasciati 713.