Al Congresso sul Disamo dell’IPB di Berlino conclusosi il 3 ottobre scorso a Berlino, circa 40 giovani di 16 differenti paesi si sono incontrati nel corso di un Raduno Giovanile. Pressenza ha intervistato tre di loro: Marie Cucurella dalla Francia, Emma Pritchard dall’Inghilterra e Simon Ott dalla Germania.
Era rappresentata la maggior parte dei paesi europei, ma hanno partecipato anche giovani provenienti da USA, Corea del Sud, Argentina, Colombia, Giappone, India, Australia, ecc. Solo gli invitati africani non ce l’hanno fatta – come al solito a causa della difficoltà ad ottenere i visti. Quasi tutti i giovani hanno un background come attivisti o accademici sulle questioni della pace e della nonviolenza: per esempio Marie e Simon sono membri della Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF) ed Emma ha conseguito un master nell’ambito della risoluzione dei conflitti.
La struttura dell’incontro, per lo più organizzato dagli stessi giovani, era molto diverso dal resto del congresso. Mentre il congresso era principalmente strutturato in sessioni plenarie e tavole rotonde, i giovani, all’inizio e alla fine di ogni giornata, organizzavano giochi – “attività educative non-formali” – per conoscersi, tra cui conversazioni da bar o attività di team building. “Ho imparato molti di questi giochi grazie ai miei studi sulla risoluzione dei conflitti”, ha detto Emma, che era una degli organizzatori. “Per esempio un gioco dove uno fa una serie di dichiarazioni, tipo ‘io sono femminista’ e gli altri devono prendere posizione su una linea tra sì e no, spiegando il loro punto di vista”.
Questioni di genere e forme di comunicazione
Ciò che tutti e tre hanno enfatizzato come la cosa più importante del Raduno Giovanile sono state le chiacchierate ispiratrici tra di loro. “Abbiamo parlato di molti temi: femminismo, educazione alla pace, capitalismo, e molti altri”. Altra cosa importante, diversa da ciò che hanno osservato nelle riunioni formali del Congresso, è che ognuno era incluso, anche le persone timide hanno trovato spazio per esprimere il proprio punto di vista. Marie ha detto: “Per esempio, chiedevamo: ‘Luisa, che ne pensi?’, oppure lavoravamo in gruppi più piccoli, dove per tutti è più facile parlare”. “Non siamo d’accordo su tutto, ma abbiamo un modo per rispettarci l’un l’altro”, ha aggiunto Simon.
Un tema caldo è stato quello della questione di genere. “Tutti questi vecchietti”, sospira Marie e spiega: “Quando si guarda ai livelli più bassi nella gerarchia, ci sono più donne, ma quando si guarda ai vertici e alle posizioni più elevate, gli uomini sono ancora in numero soverchiante rispetto alle donne”. Ma loro si sono resi conto che nella loro generazione le disuguaglianze di genere ancora persistono. “Ti domandi se si tratta di un problema strutturale o se è qualcos’altro che sta ostacolando”.
Hanno riscontrato che in parte la posizione degli uomini derivava da modelli comportamentali appresi. “I ragazzi sono più abituati a interrompere, mentre le ragazze spesso sono più calme”, ha detto Emma a mo’ di esempio.
Dicono sempre: coinvolgete i giovani!
Alla richiesta di una critica costruttiva al Congresso, tutti e tre sono diventati piuttosto vivaci: “Dicono sempre: coinvolgete i giovani! Ma poi non ci danno spazio. Nel dibattito, alla presentazione del Raduno Giovanile e del nostro lavoro sono stati dati 10 minuti, e non c’era nessun altro giovane oratore nella plenaria. Non ci chiedono la nostra opinione, non ci coinvolgono”. Emma ha detto che la gioventù aveva una prospettiva importante con cui contribuire, una prospettiva anch’essa preziosa. “L’obiettivo sarebbe quello di non avere più Raduni Giovanili, in futuro, ma di partecipare a parità di condizioni”, ha detto Marie. Anche la struttura del Congresso non è stata molto apprezzata. “E’ così conservatrice, molto tradizionale: l’audience ascolta solo passivamente alcune celebrità. Forse a loro piace così, ma non è attraente per i giovani. Non è il modo di fare conferenze, oggi. Possono fare molti più workshop con discussioni aperte, meno sessioni plenarie, tutto più creativo, attivo e fluido”, hanno spiegato. Poi: “La gente vuole sapere cosa può fare. Bisogna coinvolgerla a diventare attiva”.
Come sarebbero trattati gli alieni dagli umani?
E ora? “Resteremo in contatto”. La bozza della bozza della bozza della loro dichiarazione (qui si può trovare la traduzione della seconda bozza) è ora, dopo molti dibattiti, pronta per essere finalizzata. Un altro obiettivo è l’organizzazione del Congresso mondiale giovanile per la Pace nel 2018. E’ prevista anche l’organizzazione di workshop e webinar. Comunque, sembra che sia solo l’inizio. Hanno avuto modo di conoscersi e hanno lottato insieme per trovare modi per parlare, dibattere e definire le questioni più importanti. Ma parlando con loro si sente quanto siano ispirati ed entusiasti. Alla fine, ridendo, mi hanno detto: “L’altra sera abbiamo parlato di come gli alieni sarebbero trattati dagli umani. Alcuni di noi erano ottimisti, altri più negativi”.
Parlando più seriamente, Simon ha spiegato: “Fondamentalmente è la questione di cosa accadrebbe se apparisse un potere neutrale. Come risponderebbe l’umanità, così com’è oggi?”. “Certo”, ha aggiunto Marie, “abbiamo ipotizzato che gli alieni sarebbero stati pacifici”.
Alla domanda su quale fosse il valore più importante per loro, Marie ha risposto: “Solidarietà e rispetto”. Emma: “Giustizia. Non tanto giustizia legale, quanto uguaglianza, il concetto di condivisione, di dialogo”. Simon: “Collaborazione. Anche giustizia. Accesso equo alle risorse e uguaglianza di diritti. Condivisione”. La sintesi per tutti loro: “Ogni volta che incontri persone di altri posti, ti rendi conto: sono proprio uguali a me”. [Nelle mie interviste chiedo sempre quali sono i valori che più contano per le persone intervistate. Nota dell’autore]
Traduzione dall’inglese di Matilde Mirabella