Nuove proteste degli Oromo. La comunità internazionale non deve minimizzare le stragi in Etiopia
Secondo l’Oromo Federalist Congress (OFC), il maggiore partito di rappresentanza del popolo Oromo in Etiopia, almeno 678 persone sono morte questa fine settimana a Bishoftu in Etiopia in seguito al panico scatenato dalle forze dell’ordine durante un festival religioso. Circa due milioni di persone hanno partecipato domenica 2 ottobre alla festa di Irreechaa, forse la maggiore festa religiosa degli Oromo in cui si ringrazia per il raccolto ottenuto e si celebra l’inizio della primavera.
Per l’Associazione per i popoli minacciati (APM) la responsabilità diretta delle morti è da ricondurre a una deliberata provocazione delle istituzioni governative. Nonostante gli organizzatori abbiano fermamente sottolineato il carattere religioso e culturale dell’evento in cui nessun atto di tipo politico avrebbe dovuto interferire, le istituzioni hanno preteso l’intervento dei rappresentanti ufficiali e, nonostante l’evidente impossibilità del proposito, avrebbero chiesto persino la registrazione nominativa di tutti i partecipanti. Quando quindi alcuni politici vicini al governo hanno voluto tenere un discorso davanti alla moltitudine, la folla ha reagito scandendo slogan antigovernativi e chiedendo democrazia e giustizia. In tutta risposta le forze dell’ordine hanno iniziato a sparare e lanciare gas lacrimogeni sulle persone. Nel panico scatenato dall’intervento militare centinaia di persone sono state calpestate e sono rimaste schiacciate.
Mentre il governo finora parla di 55 morti, l’OFC conta almeno 678 vittime ma ricorda che il numero dei morti è molto probabilmente destinato a salire poiché altre 400 persone gravemente ferite risultano ricoverate negli ospedali. Mulatu Gemechu, vicepresidente dell’OFC, inoltre riporta almeno altri 900 feriti lievi.
La strage di domenica rappresenta un pericoloso spartiacque nella politica del paese africano. Già da tempo l’APM chiede all’Europa di non continuare a ignorare le violenze e la repressione delle autorità etiopi contro gli Oromo e altre etnie presenti nel paese, ora però teme che nel paese si scateni un’ondata di proteste che verosimilmente rischiano anch’esse di farsi violente. Un ulteriore inasprimento delle politiche repressive causerebbe certamente anche l’intensificarsi del flusso di persone in fuga e in cerca di salvezza in Europa. Continuare con la politica del fare finta di niente non può che incoraggiare il governo etiope a rispondere alle proteste con ancora maggiore arbitrarietà e violenza.
Le prime reazioni alla strage si sono avute il giorno dopo con le proteste spontanee svolte nelle città di Ambo, Shashamene, Bishoftu, Arsi Negele, Zway, Gimbi e Meta Robi durante le quali sono morte altre persone e molti Oromo sono stati arrestati. I manifestanti inferociti hanno lanciato sassi, bloccato strade e dato fuoco a una stazione di servizio della polizia.