Homa Hoodfar, professoressa di Antropologia presso l’università di Concordia, Montreal, è stata rilasciata il 26 settembre dopo tre mesi e mezzo di detenzione arbitraria, trascorsi in parte nella prigione di Evin, nella capitale Teheran e in parte in ospedale a causa delle sue precarie condizioni di salute (soffre di miastenia gravis, una malattia autoimmune che indebolisce i muscoli).
Rientrata in Iran l’11 febbraio per visitare i suoi familiari e svolgere una ricerca sulla partecipazione delle donne ai processi elettorali, era stata arrestata il 6 giugno per infondate accuse di reati contro la sicurezza nazionale, nell’ambito di un profondo giro di vite nei confronti delle attiviste per i diritti delle donne.
Hoodfar, che ha cittadinanza iraniana, irlandese e canadese, è nota da decenni per i suoi lavori accademici sulle questioni femminili. Da diversi anni collabora a “Donne che vivono sotto le leggi islamiche”, una rete femminista internazionale che lotta per l’uguaglianza delle donne e i loro diritti nei sistemi normativi islamici. In un’intervista rilasciata il 24 giugno, il procuratore generale di Teheran aveva reso noto che contro Hoodfar era in corso “un’inchiesta relativa alle sue attività nel campo del femminismo e della sicurezza nazionale”.
Alcuni giorni prima, organi di stampa legati alle guardie rivoluzionarie avevano descritto Hoodfar come “l’agente iraniano di un network femminista” il cui obiettivo era quello di “danneggiare l’ordine pubblico” e “promuovere cambiamenti socio-culturali per cambiare il governo senza l’uso della forza”.
Amnesty International aveva adottato Hoodfar come prigioniera di coscienza. La sezione canadese dell’organizzazione, in particolare, aveva inviato al governo iraniano oltre 50.000 firme a sostegno della sua scarcerazione.