Ormai si è detto e scritto molto sul progetto di revisione costituzionale voluto dal Governo e approvato dal Parlamento. Tra i testi critici della riforma uno dei più efficaci è questo discorso, tenuto in aula da un senatore:
<<Quel che anch’io giudico inaccettabile è, invece, il voler dilatare in modo abnorme i poteri del Primo Ministro, secondo uno schema che non trova l’eguale in altri modelli costituzionali europei e, più in generale, lo sfuggire ad ogni vincolo di pesi e contrappesi, di equilibri istituzionali, di limiti e di regole da condividere.
Quel che anch’io giudico inaccettabile è una soluzione priva di ogni razionalità del problema del Senato, con imprevedibili conseguenze sulla linearità ed efficacia del procedimento legislativo; una alterazione della fisionomia unitaria della Corte costituzionale, o, ancor più, un indebolimento dell’istituzione suprema di garanzia, la Presidenza della Repubblica, di cui tutti avremmo dovuto apprezzare l’inestimabile valore in questi anni di più duro scontro politico.
E allora, signor Presidente, onorevoli colleghi, il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente ad un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici.
La rottura che c’è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l’approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della Parte II della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua, in prospettiva, la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale; un cammino che bisognerà pur riprendere, nelle forme che risulteranno possibili e più efficaci, una volta che si sia con il referendum sgombrato il campo dalla legge che ha provocato un così radicale conflitto.
Mi asterrò dal rivolgere alle forze di Governo poco realistici appelli alla riflessione, ma non posso fare a meno di esprimere la mia convinzione che la strada indicata qui dall’attuale minoranza corrisponde all’interesse di entrambi gli schieramenti politici, nel loro prevedibile alternarsi in posizioni di maggioranza e di opposizione. Essa corrisponde all’interesse di una moderna e responsabile evoluzione del nostro sistema democratico e anche, non da ultimo, alla ricostruzione di un clima, che è purtroppo venuto meno, di più misurato, impegnato e fecondo confronto in Parlamento: un clima che è condizione per l’esercizio, con autorevolezza, del ruolo insostituibile di questa nostra istituzione.>>
Per la cronaca: il discorso fu pronunciato il 15 novembre 2005 dal senatore a vita Giorgio Napolitano in relazione al disegno di revisione della Costituzione allora in discussione al Senato. A distanza di 11 anni, il testo della riforma costituzionale è cambiato, ma le osservazioni del senatore Napolitano sembrano attualissime…