Sono oltre 300 i detenuti nelle prigioni israeliane che rifiutano il cibo. Un nuovo sciopero della fame di massa è infatti ufficialmente partito, dopo che nelle scorse settimane molti detenuti si erano già uniti alla prima forma di protesta lanciata per sostenere Bilal Kayed che, arrestato nel 2002, aveva scontato la sua pena a 14 anni e mezzo di carcere quando, al momento del rilascio, è stato posto in detenzione amministrativa: sei mesi di carcere senza processo né accuse. Kayed ha cominciato a scioperare subito, oggi è al 51esimo giorno senza toccare cibo e le sue condizioni di salute si sono gravemente deteriorate.
Israele sa come reagire alla protesta degli stomaci vuoti: secondo la Società dei Prigionieri Palestinesi (PPS), molti prigionieri detenuti a Eshel sono stati trasferiti il 4 agosto nella prigione di Ohalei Kedar, dove le forze israeliane li hanno legati, spogliati e fotografati, mentre si moltiplicano ovunque raid nelle celle e confische di beni personali dei detenuti. Tutte forme di pressione fisica e psicologica che le autorità carcerarie israeliane usano da decenni per interrompere gli scioperi della fame.
Fin dagli anni ’70 il movimento dei prigionieri politici, tra le colonne portanti del movimento di resistenza popolare, organizza ingenti scioperi della fame per ottenere condizioni migliori nelle carceri o per protestare contro forme di detenzione illegali.
E la solidarietà dal mondo “esterno” è sempre immediata: in questi giorni si sono tenute molte manifestazioni e sit-in a sostegno dello sciopero della fame. Tra i presidi anche quello del Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, in solidarietà con il giornalista Omar Nazzal, già posto in isolamento come forma punitiva.