Il mercato di Libération a Nizza è affollato come sempre questo sabato mattina. Si trova frutta e verdura di qualità a buon prezzo, venduta direttamente dai contadini dei dintorni. Tutto sembra tornato alla normalità, a pochi giorni dalla tragedia del 14 luglio che ha terrorizzato per ore la città. Fra le bancarelle dei contadini c’è un banchetto con alcuni attivisti del giornale “Le Patriote Côte d’Azur”, un giornale militante storico, nato in clandestinità durante la Seconda Guerra Mondiale, che propone una analisi contro corrente rispetto alla retorica governativa che richiama la guerra come unica risposta all’aggressione.
Il titolo a tutta pagina del settimanale, disponibile per i passanti in cambio di una piccola offerta, richiama alla mente la tragedia appena vissuta, velocemente nascosta dietro un velo di quotidianità, come per difendersi da qualcosa di troppo pesante, di incomprensibile. “Non trasformiamo la nostra collera in odio” mette in guardia contro il pericolo della crescita dell’odio dentro la società francese, vero obiettivo della propaganda e del terrorismo. Un piccolo segno di speranza nel mezzo di un bombardamento mediatico che propone un’unica reazione possibile: violenza contro la violenza, la guerra contro la guerra.
Poco più in là, compro Nice-Matin, il giornale locale, per rendermi conto di come viene descritta la situazione e anche qui trovo un altro motivo di speranza. Nel ristorante La Table du Maroc, in Rue Barralis, a pochi passi dalla Promenade des Anglais, ieri si sono dati appuntamento abitanti di Nizza di ogni provenienza, per prendere un thè e confrontarsi su quello che è successo e sul pericolo dell’odio come risposta alla violenza. Per dire forte e chiaro che, al di là di ogni appartenenza etnica, di ogni convinzione religiosa, tutti fanno parte della stessa società civile. “In questi ultimi anni” afferma Oucine Jamouli, il proprietario del locale, “magrebino è diventato sinonimo di mussulmano. Ma noi siamo una comunità composita, siamo studenti, medici, professori….”.
Michel, un professore, aggiunge che “questa società produce sociopatici che si buttano su una ideologia o una religione, e la utilizzano per sfogare la loro frustrazione”. Abed, della comunità mussulmana, si dice scioccato dalla stigmatizzazione che assimila la sua comunità ad un “veleno da combattere”. Un altro ancora, appartenente alla comunità israelitica, afferma che “il pericolo è nella contrapposizione fra le comunità dentro la società. Bisogna costruire occasioni di scambio permanenti, per non metterci l’uno contro l’altro. E’ esattamente quello che vogliono quelli…” Un altro rincara la dose andando ancora più in profondità: “dobbiamo fare attenzione a non sbagliare il nemico: il vero nemico è l’inumanità”.
Tutti sono d’accordo che l’arma più efficace, in mano ad ogni cittadino, è una sola: la solidarietà. Continuiamo a camminare verso il nostro alloggio, non passiamo dalla Promenade, non c’è niente da vedere. Ma questi piccoli segni danno fiducia e speranza molto più dei militari in assetto di guerra che a gruppi di quattro pattugliano lentamente le strade della città vecchia.
Pierino Martinelli direttore di Fondazione Fontana