La Costituzione vigente affida il potere legislativo ad entrambi i rami del Parlamento. Invece, se venisse confermata dal referendum la riforma costituzionale, la titolarità della funzione legislativa verrebbe attribuita di norma alla sola Camera dei deputati. Questo è uno degli argomenti più significativi che vengono addotti a sostegno del progetto di revisione: la razionalizzazione del processo legislativo, affidando al Senato un ruolo secondario e comunque diverso rispetto a quello della Camera.
In realtà, nel progetto di riforma la funzione bicamerale paritaria resta obbligatoria per 16 categorie di leggi, in particolare quelle:
1) di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali;
2) di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche;
3) riguardanti i referendum popolari e le altre forme di consultazione;
4) che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
5) che stabiliscono le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea;
6) che determinano i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore;
7) che regolano le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato e per la loro sostituzione in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale;
8) che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
9) che disciplinano l’ordinamento di Roma capitale;
10) che attribuiscono alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia;
11) che stabiliscono norme di procedura per la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell’Unione europea e per la attuazione e l’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea e che disciplinano le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza;
12) che disciplinano i casi e le forme in cui la Regione può concludere, nelle materie di sua competenza, accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato;
13) che determinano i principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Regioni;
14) che definiscono le procedure per l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ad organi delle Regioni, delle Città metropolitane, dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e che stabiliscono i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente;
15) che disciplinano il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali e che stabiliscono la durata degli organi elettivi e i relativi emolumenti nonché i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza;
16) che consentono che i Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.
È evidente che si tratta di materie di non secondaria importanza, a dimostrazione di quanto sia faziosa la posizione di chi sostiene che con la riforma della Costituzione si porrà fine al bicameralismo.
Oltre a ciò, i senatori mantengono alcuni importanti poteri: ad esempio possono presentare disegni di legge e proporre modifiche alle leggi approvate dalla Camera, svolgere attività conoscitive e formulare osservazioni su atti e documenti all’esame della Camera, disporre inchieste su materie concernenti le autonomie territoriali, partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica in seduta comune con i deputati, eleggono in esclusiva due giudici della Corte Costituzionale e godono dell’immunità parlamentare.
Addirittura il testo della riforma stabilisce che: “Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato”.
Per un verso, appare contraddittorio il fatto che il Senato riformato, organo non più di diretta derivazione dal popolo sovrano e non più rappresentativo della nazione, abbia così vaste e disomogenee competenze, ad esempio partecipi alla revisione della legislazione costituzionale e alla ratifica dei trattati europei (ma – inspiegabilmente – non a quelli internazionali). D’altra parte, il nuovo Senato non pare in grado di rappresentare in modo significativo a livello centrale la voce delle autonomie territoriali, a causa della ridotta quantità di consiglieri regionali e sindaci che nella migliore delle ipotesi faranno i senatori part-time. In particolare, la rappresentanza dei comuni è di fatto inesistente, poiché la nomina dei senatori (soltanto un sindaco per regione o provincia autonome) viene effettuata dai consigli regionali e non dai sindaci dei comuni.
In questo scenario articolato e complesso non si capisce la vera “ratio” della riforma costituzionale nello stabilire le procedure bicamerali e soprattutto che senso abbia lasciare al Senato questi importanti poteri legislativi, se l’obiettivo dichiarato – per quanto discutibile e persino pericoloso – sia quello della velocizzazione e semplificazione del processo di produzione delle leggi.
Non va dimenticato che i senatori verranno nominati dai consigli regionali e in questo ramo del Parlamento si potrebbero costituire maggioranze ben diverse da quella che sarà presente alla Camera grazie all’abnorme premio di maggioranza previsto per il primo partito dalla legge elettorale “italicum”. Il che significa con alta probabilità che tutte le leggi rientranti nelle competenze del Senato previste dalla revisione costituzionale avranno un cammino parlamentare tutt’altro che veloce e semplice: una prospettiva che mette in luce il lato incoerente di una riforma che promette molto ma che di fatto rischia di non poter raggiungere i risultati tanto propagandati.
In una recente intervista l’ex ministro della giustizia Giovanni Maria Flick ha dichiarato che “la riforma del bicameralismo perfetto si risolverà in un bicameralismo mal fatto che complicherà le cose più di quanto lo siano già adesso”. E ha aggiunto che la Costituzione si deve cambiare “in modo funzionale ed efficace. Cambiarla per cambiare, pur di fare qualcosa, non ha molto senso; anche perché rischia di generare ulteriori occasioni e necessità di cambiamento”.