Si è diffusa in questi giorni un’aspra polemica, causata da una diatriba creata dalle amministrazioni locali francesi sull’uso del burkini in spiaggia da parte di alcune bagnanti mussulmane.
Alcune direzioni locali francesi hanno deciso di vietare l’uso del burkini alle bagnanti: trattasi di un costume da bagno che ricopre il corpo femminile per intero, rammentando vagamente una muta da sub, ovviamente abbellita con decorazioni femminili. E’ sicuramente differente dai costumi da bagno che siamo abituati a intravedere sulle spiagge, in cui seno e glutei vengono con fierezza valorizzati, se non quasi denudati. Il premier francese Manuel Valls, orgoglioso di questa sua battaglia, dichiara: “Lungi dall’essere solo un costume da bagno, il burkini è espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna, quindi è incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica”.
Di fronte ad asserzioni del genere mi chiedo, come madre, se davvero i valori della Francia si basino su di un indumento da spiaggia. Dov’è finita la rivoluzione francese? Le manifestazioni operaie e femministe? La riforma della scuola? Siamo sicuri che le donne francesi invece non preferiscano avere accanto amiche in burkini ma con una coscienza morale, donne fidate e buone madri?
Mi pongo queste domande perché sconcertata da ciò che sono costretta a vedere e sentire ogni giorno. Sembra che in alcuni frangenti il mondo si diriga nel baratro dell’ignoranza, rispetto a una cultura che avrebbe sicuramente molto da insegnarci, se solo avessimo tempo per ascoltarla.
Alcune donne mussulmane si sono viste appioppare multe fino a 38 euro per avere scelto un costume da bagno di proprio gusto. Qualcuno, giustamente, fa notare quanto sia raro intravedere sulle nostre spiagge suore in bikini. Ci sembra lecito domandarci, quindi, quanto ci sia di legale in ciò che sta accadendo in questi giorni, e quanto sia umano multare una donna perché in spiaggia decide di indossare un burkini e non una strisciolina di stoffa che ricopre solamente sottili lembi di pelle. Da donna, oggi, mi rendo conto sempre più quanto di questi tempi, e soprattutto da parte di una cultura maschilista, si decida sempre sul nostro corpo. Un corpo, quello femminile, cui viene chiesto di essere scelto, di essere bello, una figura femminile che è stata portata all’anoressia, alla bulimia, al doversi adeguare a ciò che altri reputano giusto sulla base di un gusto prettamente personale.
Come donna, oggi, scelgo di indignarmi, mi indigno perché mi accorgo di come il razzismo e l’islamofobia siano oramai sempre più diffusi, arrivando a multare donne e madri di fronte ai propri bambini come se fossero ladre irrispettose.
Per comprendere meglio la situazione proviamo a tornare indietro nel tempo, e a rammentare lo shock che provocò il bikini all’inizio degli anni settanta, per cui le donne vennero addirittura pubblicamente dichiarate “facili” e “indegne”. Questo è accaduto in occidente non molto tempo fa. Oggi ci troviamo nella stessa identica condizione: la donna non ha diritto di essere se stessa, di scegliere l’espressione della propria bellezza, della propria femminilità, ma si trova a dover chiedere il permesso all’opinione pubblica. Domandiamoci se l’Islam, continuamente additato come irrispettoso nei confronti della donna, sia differente dalle menti ottuse che ricoprono ruoli pubblici in Europa. Provo infinita vergogna per ciò che sta accadendo in un paese europeo e libero, provo infinita tristezza per l’ignoranza nei confronti di una cultura, poetica, profumata ed antica come quella islamica. Provo invece infinito rispetto per queste donne musulmane, che con coraggio ogni giorno affrontano l’ignoranza trovando nella gentilezza e negli insegnamenti antichi la forza di andare avanti.